Da Uiki
Scontri nella città curda di Mahabad nel Kurdistan orientale continua. La gente sta protestando contro il tentativo di violenza sessuale di un funzionario del governo iraniano ai danni di una donna curda impiegata in uno degli alberghi della città. La donna di 26 anni di nome Ferînaz Xoşrewanî ha perso la vita mentre cercava di sfuggire all’aggressione.
Migliaia di persone sono scese in strada ieri sera a Mahabad, popolosa città del Kurdistan Orientale (Rojhelat) sotto controllo iraniano; inferocite dal dolore e dalla rabbia per l’atroce fine di una venticinquenne curda – lanciatasi dal quarto piano del Tara Hotel a seguito di un tentativo di stupro.
Ferinaz Xosrowanî, che lavorava come cameriera in quell’albergo, stava cercando di sfuggire al suo persecutore – un ufficiale dei servizi di intelligence iraniani (Itlaat) che avrebbe promesso riconoscimenti al direttore dell’hotel se fosse stato soddisfatto del suo “soggiorno”.
Diffusasi in città la notizia, verso le 6 di pomeriggio la popolazione si è radunata ai piedi dell’albergo reclamando i nomi dei responsabili del suicidio della ragazza affinché potessero essere portati a processo. Le autorità hanno risposto schierando le forze di sicurezza, le quali non hanno esitato a sparare sui convenuti gas lacrimogeni e proiettili nel tentativo di disperderli. I violenti scontri che ne sono seguiti – con un bilancio di due morti e decine di feriti tra la folla ed una decina di feriti tra i poliziotti – sono culminati nella messa a fuoco dell’hotel da parte dei manifestanti, nell’arresto del direttore Seyid Murteza Haşimi e nella ritirata delle forze di sicurezza da Mahabad.
Le autorità iraniane, chiuse nel silenzio durante gli eventi, dopo la diffusione di resoconti ed immagini degli eventi di Mahabad (anche tramite gli hashtag #JusticeForFerinaz, #Mahabad e #BijiSerhildanaRojhelat) da una parte hanno dichiarato lo stato di emergenza in città, dall’altra hanno fatto invano appello alla calma ed all’individuazione dei colpevoli.
Fatalità vuole che i disordini cadano alla vigilia delle commemorazioni di Shirin Alam Hooli, Farzad Kamangar, Ali Heidarian e Farhad Vakili, quattro militanti curdi del PJAK (Partito della Vita Libera in Kurdistan, gemellato con il PKK ed il PYD) e dell’attivista persiano Mehdi Eslamian; giustiziati cinque anni fa dai boia della Repubblica Islamica, e le cui famiglie attendono tuttora la possibilità di poterne visitare le spoglie. Mentre il KJAR (organizzazione delle donne del kurdistan orientale), rivolgendo le proprie condoglianze alla famiglia di Ferinaz, ha fatto appello alle donne kurde di sollevarsi allo stesso modo di come le donne afghane abbiano fatto a seguito dell’episodio di Farkhunda, la giovane linciata dopo la falsa accusa di aver bruciato pagine del Corano.
Man mano che le proteste si espandono in altre città del Rojhelat e perfino nei territori curdo-iracheni (scoraggiate però dal PUK di Barzani al potere) e turchi, e si moltiplicano gli appelli di solidarietà e lotta, incombe sui sonni dei dirigenti di Teheran lo spettro della Repubblica di Mahabad del 1946: l’entità autonoma curda sconfitta ed occupata dalla repressione dello Shah e dei suoi protettori occidentali. Che appare ora in procinto di prendersi una storica rivincita.