Il Kurdistan nel ciclone del Medio Oriente

Leandro Albani                                                                                                                       da Resumen Latinoamericano, 1 maggio 2015

Come si riconfigura il Medio Oriente dopo la rivoluzione in Rojava, regione nel nord della Siria abitata da curdi e altre etnie? Come si muovono le pedine in uno scacchiere instabile e in mutazione permanente come è la mezzaluna fertile? E quali poteri influiscono su questa zona che non sembra avere mai pace e che mette in scacco la stabilità mondiale?

Questi sono alcuni interrogativi che Resumen Latinoamericano ha proposto a Nazanim Armanian, analista di origine iraniana che vive in Spagna dal 1983.

Gli articoli di Armanian – docente di Relazioni internazionali, laureata in Scienze Politiche e docente presso l’Università di Barcellona – studiano attentamente i conflitti in Medio Oriente, tema che l’ha portata a pubblicare 15 libri, tra i quali “Los kurdos y un país inexistente”, “Irán: la revolución constante”, “El Islam sin velo” e “Irak, Afganistán e Irán. 40 respuestas al conflicto en Oriente Próximo”.

«Nel 2012, un anno dopo l’inizio degli scontri in Siria, le bandiere curde hanno iniziato a sventolare sugli edifici pubblici di varie province del nord-est del paese – spiega la giornalista e scrittrice. Era nata l’autonomia curda diretta dal Partito dell’unione democratica (Pyd), con Bashar Al Assad ancora al potere. La minoranza etnica più grande del paese, circa due milioni di persone, non era molto presente nelle proteste nonostante fosse stata duramente repressa per decenni. Per quale ragione? Per il timore di essere accusati di indipendentismo, o che a loro succedesse come ai curdi e sciiti iracheni che, nel 1991, furono incoraggiati da Bush padre a sollevarsi e, una volta che lo fecero, questi se ne andò a pescare mentre Saddam Hussein scatenava la propria furia contro di loro».

Prima di questa situazione derivata dalle cosiddette «primavere arabe», Armanian aveva segnalato la mossa del regime siriano di «cedere il controllo delle regioni curde al Pyd, il ramo del Partito dei lavoratori del Kurdistan turco (Pkk), con due principali obiettivi: dividere e indebolire l’opposizione, perché il Pyd non permette al Consiglio nazionale siriano (Cns) – che ha negato il riconoscimento dei curdi in una Siria post-Assad – di operare nelle zone che controlla; colpire Recep Tayyip Erdogan, uno dei patrocinatori del Cns, e destabilizzare la Turchia. Così, non solo il conflitto si estenderà su tutta la frontiera comune Siria-Turchia, ma aumenteranno anche le rivendicazioni dei curdi in Turchia.

Perché, come può essere che i quattro milioni di curdi iracheni e due milioni di curdi siriani hanno una autonomia, e i quattordici milioni di curdi in Turchia no?».

Washington e le sue «priorità»

Armanian ci mette in guardia circa la posizione tenuta dagli Stati Uniti nei confronti del fenomeno curdo e ricorda che durante gli attacchi dello Stato islamico (Is, Daesh in arabo) in Rojava, il segretario di Stato John Kerry dichiarò che «Kobane non è una priorità degli Stati Uniti». In questo modo, «chiariva ogni dubbio di quanti (compresi gli stessi curdi) confondono ancora il governo degli Stati Uniti e i suoi marines con i benefattori che si fanno in quattro per salvare gli oppressi del mondo», afferma la scrittrice.

Una prova della posizione tenuta dalla Casa Bianca davanti alla devastazione provocata dallo Stato islamico in Rojava è che gli abitanti di Kobane «non hanno ricevuto aiuti né da una inutile Onu né dagli Stati che potrebbero aver fatto ricorso alla dottrina della “responsabilità” che servì alla Nato per attaccare la Libia. Non è un segreto che i mercenari dello Is vengano avvisati e fuggano prima dell’inizio dei bombardamenti teatrali dell’aviazione statunitense. Bisogna poi aggiungere che nessuna postazione vincolata agli interessi delle potenze occidentali è stata attaccata, ad oggi, dallo Is». Armanian ha aggiunto che «le bombe cadevano sulle postazioni della guerriglia curda, le case o le infrastrutture della zona per portare la Siria all’età della pietra, come si fece in Irak e Libia».

Scommesse nel Kurdistan iracheno

Quando le rivolte in Oriente cominciarono a trasformarsi e fece la sua apparizione lo Is, il presidente del Kurdistan federale dell’Irak, Masud Barzani, invocò l’indipendenza della regione e la crerazione di un nuovo Stato, tenendo conto che è una delle regioni al mondo più ricche di idrocarburi.

Per Armanian, «i curdi iracheni, oltre ad essere perseguitati dai governi del nazionalismo arabo, hanno dovuto sopportare per decenni le conseguenze dei maneggiamenti delle famiglie Barzani e Talabani», i due clan principali della regione.

Secondo l’analista, entrambi «hanno venduto l’anima agli Stati Uniti» e «la loro ultima prodezza è stata quella di approfittare dell’avanzamento dello Is in Irak per conquistare il controllo di varie città del nord del paese, e usarle come mezzo per vendere petrolio a Turchia e Israele, proprio quando le atrocità commesse dal Califfato contro le minoranze yezide e cristiane occupavano le prime pagine dei giornali mondiali».

Turchia, Israele e i loro interessi

Senza dubbio i governi di Ankara e Tel Aviv attualmente mantengono un’enorme influenza in Medio Oriente. Le denunce di appoggiare lo Is e altri gruppi terroristici provengono da più parti. Rispetto all’amministrazione Erdogan, Armanian ha spiegato che gli «appelli» del presidente turco per «salvare Kobane» volevano che il Pyd e la guerriglia «abbandonassero l’idea di una autodeterminazione e rompessero con il Pkk; che si unissero alla lotta per abbattere Assad, che unissero le Unità di protezione del popolo (Ypg/Ypj), loro formazioni armate, all’Esercito siriano libero, che permettessero alle truppe turche di gestire la sicurezza della zona curda in Siria, controllando entrata e uscita delle persone (o dei militanti del Pkk?). Cioè: creare una seconda Gaza.

Armanian ha detto chiaramente che «Erdogan mirava all’abdicazione del Pyd, a distruggere il Pkk in Siria e ottenere dei vantaggi nei suoi negoziati con la sinistra curda in Anatolia, e ad indurre il Pyd e il Pkk al suicidio politico. Proposte sterili fatte per essere rifiutate di modo che il presidente turco potesse continuare a sostenere la propria creatura dello Is, che in puro stile Yeni Cheri – le forze speciali ottomane – rade al suolo interi villaggi che trova sulla sua strada».

Riferendosi a Israele, la scrittrice ha ricordato che Tel Aviv addestra i Peshmerga iracheni, l’esercito della regione controllata dal clan di Barzani, e a sua volta fa pressione su Obama «perché si inventi un Kurdistan non solo per trasformarlo in una sua base militare alle frontiere con Iran, Irak e Turchia, o per portar via il petrolio curdo, ma anche per dar luogo a un lungo conflitto di sfiancamento tra i curdi e quegli Stati».

Il forte vincolo tra la borghesia curda e Tel Aviv è stato dimostrato, secondo Armanian, con «l’arrivo del primo rifornimento di petrolio curdo a Israele», permettendo allo Stato ebraico l’accesso al petrolio e all’acqua del Kurdistan iracheno.

«I capi regionali curdi in Irak – con il loro nazionalismo classista, poco lungimirante e solidale – sono indispensabili complici degli attacchi delle potenze mondiali ai poveracci della regione» ha concluso Armanian.