Nella città turca di Karaman c’è una fondazione islamica che si chiama Ensar, strettamente legata alla famiglia Erdgan ed all’AKP. Questa fondazione si prodiga nell’instillare in bambine e bambini i valori religiosi attraverso l’educazione. Fra i suoi volonterosi insegnanti c’è Muammer B., un maestro 54enne attualmente accusato di aver stuprato 45 bambini tra gli otto e i dieci anni. Inutile dire che, dopo il suo arresto, l’AKP ha messo la censura sulla stampa riguardo questo caso, col pretesto evitare danni alla reputazione della fondazione Ensar.
Perfino Bilal Erdogan – il figlio del sultano, noto anche in Italia per i suoi intrallazzi – si è sbracciato nel difendere la fondazione. Quest’ultima ha prima negato ogni responsabilità, per poi sostenere che il maestro potesse essere una sorta di spia che ha usato lo stupro per danneggiare tanto la reputazione del sultano e del suo partito, quanto quella della stessa fondazione.
Sema Ramazanoglu, ministra della Famiglia e delle Politiche sociali si è sbracciata nel difendere il maestro nonché la fondazione, sostenendo si sia trattato di un caso isolato e che i bambini stuprati verranno puniti.
Eppure a quanto pare quella stessa fondazione ha una tradizione di maestri stupratori: Zekai Isler aveva stuprato tre adolescenti; Mehmet Nuri Gezmis ne aveva stuprati due.
Su twitter è comparso da alcuni giorni l’hastag #StopChildRapeInTurkey.
Inutile dire che la polizia ha caricato pesantemente chi protestava contro la fondazione e i suoi stupratori…
Tutto questo avveniva negli stessi giorni in cui Gülten Ceylan, sociologa del Centro delle Donne Rojin, pubblicava il risultato di un’indagine annuale sulla violenza fisica, psicologica, economica e sessuale che le donne hanno subito a Van, segnalando in particolare come il matrimonio precoce rappresenti un grave trauma per le ragazze: “La maggior parte delle donne si sposa in età precoce. Il matrimonio precoce provoca gravi traumi alle donne. Il matrimonio precoce significa infatti violazione dei diritti umani, dei diritti delle bambine, abuso e quindi trauma sessuale”.
Sempre negli stessi giorni, veniva postata sui social l’ennesima foto di una donna ammazzata, bruciata e poi spogliata. L’account da cui è stata postata la foto si chiama JİTEM-@BeyazToroscular e richiama, nel nome, le auto usate negli anni ’90 dalle forze turche per rapire e ammazzare i kurdi: le “Beyaz Toros” – Renault Toros, di colore bianco. In sostanza, queste auto sono un simbolo del terrorismo di stato; non per caso durante l’ultima campagna elettorale l’allora ministro ad interim dell’AKP Davutoğlu aveva detto – proprio durante un comizio a Van! – che se il suo partito non avesse vinto, sarebbero ritornate le Beyaz Toros.
L’agenzia di stampa JINHA spiega che il suddetto account ha ripetutamente postato foto di donne spogliate dopo esser state ammazzate, aggiungendovi commenti pesantemente sessisti, oltre a minacciare di morte la popolazione delle città kurde di Hakkari e Yüksekova.