Hîlava e Cala Temo, sono due giovanissime sorelle di Kobane che, malgrado il ripetuto esilio dalla loro città, non hanno mai smesso di cantare e di sognare il ritorno.
Rabia Özcan, 63 anni, si oppone ai progetti di devastazione ambientale fermando le ruspe ed affrontando i soldati col suo bastone.
La ribellione delle donne in Turchia e in Kurdistan attraversa tutte le età ed ha infiniti volti e modalità.
Vogliamo raccontarne alcune, che ci confermano come la determinazione delle donne – quando c’è ed è reale – possa muovere le montagne.
In piedi di buon mattino per badare al bestiame e ad altre faccende, alcune donne hanno svegliato l’intero quartiere Zap di Silopi quando si sono accorte che la polizia stava cercando di superare le trincee protettive costruite dalla popolazione del quartiere per fermare le frequenti incursioni poliziesche. Pur non bloccando l’operazione di polizia, il loro allarme l’ha rallentata, dando il tempo alla popolazione di mettersi al sicuro ed organizzare la resistenza.
Una ‘madre senza nome‘ in Turchia urla con rabbia il suo rifiuto di piegarsi al rito sciovinista delle ‘condoglianze alla patria’, di fronte al proprio figlio mandato a morire in una guerra fratricida.
Le donne yezide sopravvissute al genocidio hanno marciato per chilometri a piedi scalzi per ricordare al mondo i/le loro familiari massacrati dai fondamentalisti o ancora nelle mani di ISIS. Si sono, poi, riunite in assemblea sui monti di Shengal per rompere un silenzio secolare prendendo la parola e facendosi protagoniste della trasformazione sociale in atto, con un particolare impegno nel superamento delle lotte interne che indeboliscono la comunità yezida, nel rafforzamento delle strutture comunitarie e nell’organizzazione dell’autodifesa e del training armato per le donne.
Le Libere donne del Rojava, dopo aver fornito servizi sanitari in tutti e tre i cantoni della regione autonoma, continuano con determinazione il lavoro sulla consapevolezza e l’autodeterminazione delle donne, e si sono ritrovate a Qamişlo, nel cantone di Cizîrê, per formare le altre donne nel campo della salute propria e dei loro figli e figlie.
Le prigioniere politiche rinchiuse nel carcere femminile di Istanbul, dopo la strage di Suruç, per tre giorni hanno fatto ininterrotte battiture e gridato slogan in solidarietà con le vittime.
Poi ci sono donne come Husniye Îsmaîl Behrem, che da quando, 11 anni fa, l’esercito di Assad ha cominciato a perseguitarla dopo aver arrestato, torturato ed ucciso suo marito, non ha mai smesso di lottare per la rivoluzione.
O come Rihan Tahir che, rimasta sola con un figlio dopo aver perso il marito combattente delle YPG, ha resistito alle pressioni sociali e familiari e, anziché risposarsi, ha preferito dedicarsi alla rivoluzione del Rojava e far crescere il figlio nello spirito di quella rivoluzione.
… e non sono che alcuni esempi. Non dimentichiamo le decine di martiri della rivoluzione, spesso giovani appena uscite dall’adolescenza, e tutte le altre donne che, con loro, che hanno tessuto la rivoluzione in Rojava.