La guerra genocida di Erdogan (con l’imprimatur degli Stati Uniti) contro la quale si moltiplicano gli appelli – fra altri, quello degli assiri, di docenti universitari turchi, di giornalisti e scrittori kurdi ma non solo – non si ferma nemmeno di fronte ai cadaveri dei/delle martiri e dei/delle civili. Al ripetuto trattenimento dei cadaveri nei posti di confine – attualmente altri 20 corpi di guerriglieri/e – “su istruzione del Consiglio dei Ministri del governo dell’AKP“, seguono l’accanimento contro le tende in cui si svolgono le veglie funebri, gli arresti delle madri e dei parenti che partecipano alle veglie, gli attacchi contro i cortei funebri.
A Silopi – dove l’assemblea popolare ha dichiarato di non riconoscere più la legittimità dello stato turco, di volersi autogovernare e di cominciare l'”autodifesa democratica” contro tutti gli attacchi – la polizia turca ha sparato contro le centinaia di donne che portavano le proprie condoglianze alla famiglia di Mehtet Hıdır Tanboğa, il diciassettenne ucciso nei giorni scorsi, costringendo tutte ad abbandonare la tenda del lutto ed a rinchiudersi in casa per ore sotto la minaccia delle armi.
Significativo, invece, il fatto che le YPG/YPJ non abbiano dimenticato la pietà per i morti e seppelliscano, oltre ai corpi straziati dalla violenza di ISIS e poi abbandonati, anche i nemici uccisi: “Nonostante i militanti [di ISIS] abbiano portato stupri e massacri fra la popolazione locale e abbiano ridotto un’antica città un tempo vivace a poco più di un cumulo di ruderi e macerie, i/le kurdi/e insistono sul dare ai combattenti di ISIS morti una degna sepoltura, ove possibile” (dal DailyMail). Dall’Iliade ad Antigone l’accanimento contro i morti e l’impedimento della sepoltura esprimono la volontà di potere sui morti e su chi resta in vita, ma sono anche sintomi – feroci e disumani – dell’agonia di quello stesso potere.
Che Ištar e tutte le dee maledicano Erdogan, tutte le sue pedine, i suoi complici e la sua guerra genocida!
Nell’immagine sottostante, la tenda del lutto allestita ad Amûde, città nel cantone di Cizîrê in Rojava, per piangere e ricordare le vittime della strage di Suruç.