Da ieri circola su alcuni giornali la notizia di una lettera aperta, sottoscritta da una ventina di yezidi, tra cui un capo religioso ed un parlamentare, che fa accapponare la pelle.
In sostanza, viene messo in dubbio che un facoltoso uomo d’affari, Steve Maman, residente in Canada e definito lo “Schindler ebreo”, abbia veramente utilizzato le centinaia di migliaia di dollari raccolti – 580.000 dall’inizio di luglio – per “ricomperare” donne e bambini yezidi, e che non si tratti, invece, di un modo truffaldino per finanziare i jihadisti di ISIS.
Lo stesso Maman avrebbe “insinuato o rivelato (…) di avere trattative dirette con ISIS”, è scritto nella lettera, e delle donne che dichiara di aver liberato non c’è traccia. Invece l’organizzazione di Steve Maman (CYCI – Liberazione dei bambini cristiani e yezidi in Iraq) dichiara nel proprio sito web di avere “da sola contribuito a salvare oltre 120 donne e bambini cristiani e yezidi dai territori controllati da ISIS in Iraq”.
Per altro, non tornerebbero nemmeno i conti: “Maman ha scritto che per 80.000 euro aveva comprato la libertà di 120 donne. Ma non torna con i prezzi attuali. Una donna costa tra i 10.000 e i 30.000 dollari. I bambini meno, forse 5.000 dollari. Anche se avesse pagato soltanto 5.000 dollari per ognuno/a di loro, il totale sarebbe comunque molto più alto”.
I firmatari spiegano che generalmente le famiglie delle donne rapite si indebitano con amici e parenti per pagare questi riscatti, in parte, poi, rimborsati dall’ufficio speciale del governo a Duhok.
La lettera invita Maman a sospendere la raccolta di donazioni attraverso GoFundMe fino a che non dimostra quello che la sua organizzazione ha fatto davvero, e a fornire entro breve tempo “le prove riguardanti le loro presunte attività di soccorso, tra cui le informazioni di contatto delle famiglie o degli individui/e che sostiene di aver salvato, alle autorità competenti: i membri del Supremo consiglio religioso degli yezidi e i rappresentanti chiave yezidi nel parlamento kurdo o iracheno”.
Khidher Domle, giornalista kurdo e attivista nonché uno dei firmatari della lettera, ha detto: “Ci troviamo in questa immane tragedia, e ora qualcuno si mostra come eroe sulle spalle del nostro popolo”.
Seguiremo con attenzione questa terribile faccenda, giocata – ancora una volta – sulla pelle delle donne yezide. [Aggiornamento del 6 settembre: la risposta di Steve Maman]
Sulla pelle delle donne kurde continua, intanto, la guerra di Erdogan.
La scorsa notte a Silopi i cecchini hanno sparato su due donne, madre e figlia, che dormivano sopra il tetto della propria casa, uccidendo la prima e ferendo la seconda.
Ieri a Istanbul la polizia ha caricato le donne che manifestavano contro la guerra, non appena hanno dato fuoco ad un’immagine di Erdogan.
Intanto alcune donne turche, madri di giovani in età di leva, hanno raggiunto le madri dei guerriglieri che da un paio di settimane fanno da scudi umani nei dintorni di Lice (Kurdistan del nord), per proteggere le vite dei propri figli e delle proprie figlie.
E a Tirbesiyê, in Rojava, è stata celebrata la nascita del primo battaglione femminile assiro di autodifesa, salutato come “primo, storico passo delle donne assire”.
Se la sporca guerra di Erdogan e quella di ISIS sono fatte innanzitutto sulla pelle delle donne, saranno le donne stesse, con la loro (auto)determinazione, a fermarle!