La vita come strumento di resistenza

Da un paio di mesi decine e decine di prigioniere e prigionieri politici kurde/i hanno risposto all’appello di 13 loro compagni/e e stanno portando avanti uno sciopero della fame ad oltranza: Secondo i dati dell’Iniziativa di solidarietà con le carceri, 219 detenuti, 38 dei quali donne, stanno partecipando allo sciopero della fame in 27 carceri, scrive UIKI. Donne e uomini che stanno usando la propria vita come strumento di resistenza contro il regime fascista dell’alleanza AKP-MHP. Le loro richieste sono:
•    mettere fine all’isolamento delle prigioniere politiche e dei prigionieri politici, in particolare a quello del Leader del popolo curdo Abdullah Ocalan;
•    cessazione dei maltrattamenti da parte dei guardiani durante le visite dei familiari;
•    misure per la cura delle prigioniere e dei prigionieri malati;
•    cessazione delle violazioni dei diritti delle detenute e dei detenuti;
•    fine dei fermi e degli arresti legati all’aver espresso opinioni e aver svolto lavoro politico;
•    fine della repressione politica e militare della popolazione.

Segnaliamo l’interessante autocritica politica di Murat Karayılan (PKK), che ha affermato: La verità è che queste compagne e questi compagni tenuti prigionieri dal nemico hanno intrapreso questa missione perché non abbiam mancato di fare il nostro dovere. Se noi, quelli fuori, avessimo fatto il nostro dovere per tempo, oggi non sarebbe in atto un processo del genere. Le nostre compagne e i nostri compagni dietro le sbarre stanno portando avanti questa azione contro la politica genocida dell’AKP a İmralı e in tutte le carceri. La tortura perpetrata a İmralı oggi costituisce l’essena della politica genocida perseguita in Kurdistan. In questo senso, l’atteggiamento delle compagne e dei compagni in carcere è appropriato ma questo era in effetti un nostro dovere. Avremmo dovuto portare questa lotta a maggiori conquiste e diretto questa politica. Ancora una vota saluto le compagne e i compagni il cui fardello è pesante. Il nostro popolo per questo deve sostenere queste compagne e questi compagni in ogni modo possibile. Che sia all’interno del Paese o all’estero, tutto il popolo del Kurdistan deve stare al fianco dei suoi figli nel modo più incisivo e tutti coloro che in Turchia stanno dalla parte dei diritti umani non devono restare in silenzio di fronte a questo grido che sale dalle carceri. Crediamo che un sostegno più forte svilupperà e che l’azione delle nostre compagne e dei nostri compagni in carcere si concluderà con un successo. In questo contesto faccio appello ancora una volta al nostro popolo di non lasciare le compagne e i compagni che si sono caricati di questo pesante fardello.

Da alcuni giorni, forme di supporto a questo sciopero della fame si stanno moltiplicando anche in Europa e in alcune città italiane.

Intanto in Siria procedono le operazioni per la liberazione di Raqqa, e decine di donne e bambini/e yezidi/e vengono liberati dagli artigli di Daesh.

Aggiornamento del 19 aprile: A seguito dell’appello della KCK, le prigioniere e i prigionieri finiscono lo sciopero della fame