“Non è troppo tardi per fare i passi giusti…”

ivanahofman-599x275L’8 marzo scorso, la ventenne Ivana Hoffmann cadeva combattendo contro le bande dell’ISIS a Til Temir.

In una bellissima lettera aveva scritto ai suoi compagni che voleva esser parte della rivoluzione in Rojava e difenderla a costo della sua vita.

Come lei, altre donne e altri uomini si sono unite/i in questi mesi alle Unità di difesa curde (YPJ/YPG).

Per ricordarla, abbiamo tradotto l’intervento di un volontario internazionalista delle YPG sulla spinta rivoluzionaria che sta facendo convergere in Rojava donne e uomini provenienti da tutto il mondo per partecipare alla resistenza.

La Resistenza in Rojava: rinascita della lotta anticapitalista
La speranza e l’idea in Rojava potrebbero essere in grado di aprire la strada a qualcosa di più grande del Kurdistan o del Medio Oriente. Può condurre a un nuovo inizio nelle imprese rivoluzionarie di tutto il mondo.

7 aprile 2015

Il problema che abbiamo di fronte oggi non è nuovo. Le sue radici risalgono a più di 6000 anni fa, alle radici della civiltà stessa. Proprio allora ebbero presa alcune idee che attaccarono la società come un virus letale che, dopo una lunga lotta, è riuscito ad infettare il cuore delle comunità umane in tutto il mondo.
Queste idee sono essenzialmente opposte alla natura dell’umanità e della vita stessa: l’oppressione e la schiavitù sarebbero necessarie e giuste e gli esseri umani le meriterebbero.
La sottomissione della natura ha spianato la strada alla sottomissione delle donne, la sottomissione delle donne ha a sua volta permesso l’asservimento degli uomini da parte di altri uomini. Da allora abbiamo vissuto sotto il giogo di questi mali, consapevoli della loro presenza ma senza mai comprenderli veramente.
Non mi dilungherò su questo punto, poiché una delle grandi cose fatte da Ocalan è l’aver sviluppato un’analisi di questi problemi più approfondita di quanto io o qualsiasi altro essere umano avremmo potuto sperare di fare nel nostro tempo (anche se spero di sbagliarmi in questa prognosi). Molto più importante è sottolineare che Ocalan ha pubblicato queste analisi sullo sviluppo dello Stato e della civiltà ed ha proposto soluzioni ai problemi più urgenti.

Da quell’epoca, innumerevoli persone sagge, appassionate e coraggiose hanno fatto propria la lotta contro questo sistema, sempre cambiando il suo aspetto esteriore, ma lasciandone intatto il nucleo. Invece di superarlo, hanno dotato il sistema di nuove e potenti armi e le forze dei loro movimenti sono state assorbite dall’insaziabile Leviatano.
Questo è stato il destino di tutte le lotte rivoluzionarie che, storicamente, sono state in grado di sfidare l’egemonia globale.

Questi movimenti hanno una base comune. Essi appaiono in tutte le forme immaginabili – come religioni, come lotte per l’autonomia e l’indipendenza, come scuole filosofiche, movimenti culturali, ideologie che si definiscono socialismo, comunismo o anarchia. Per quanto possano sembrare così diversi, sono alimentati dagli stessi desideri universali di libertà, pace e fratellanza/sorellanza.
Per quanto il sistema possa essere avanzato e vincente, in nessun luogo è stato in grado di spegnere il desiderio – esistente in ogni società umana – di raggiungere questi traguardi.
Tuttavia, esso è riuscito ad incanalare per i propri scopi le energie che derivano dall’aspro contrasto tra questi desideri e la realtà sociale.
Nel caso migliore, le lotte dei popoli si sono orientate contro singoli governi o gruppi privilegiati; nel caso peggiore, contro le minoranze sociali e altri arbitrari tipi di capri espiatori. La logica del divide et impera ha portato gli oppressi a combattere tra di loro, mentre gli strumenti per raggiungere l’unità – basati soprattutto sul privilegio egemonico della conoscenza – restano nelle mani degli oppressori.

La maggior parte delle lotte fallisce per la mancanza di base analitica, di quella comprensione delle dinamiche della società che è necessaria per individuare le vere origini della crisi in cui l’umanità è caduta.
Questo è ciò che rende Ocalan uno dei rivoluzionari più importanti di tutti i tempi. Egli è riuscito a presentare una profonda analisi della crisi, a sviluppare un’alternativa al dilemma attuale e a dar vita a un movimento che è disposto a lottare per uscire dalla crisi, mirando alle radici del problema e non solo ai sintomi. L’istituzione dell’autonomia del Rojava come confederazione di comunità democratiche senza Stato può, oggi, essere considerata come il più grande successo di oltre quarant’anni di lotta rivoluzionaria implacabile.

Il progetto del Rojava è ora in una fase cruciale.
Se rimane isolato, le necessità militari ed economiche insieme alla pressione ideologica del paradigma capitalista egemonico lo costringeranno, nella migliore delle ipotesi, a trasformarsi in una sorta di stato socialista liberale.
Per avere successo la liberazione della società ha bisogno di espandersi nelle zone confinanti del Kurdistan e, soprattutto, nelle società del più ampio Medio Oriente.
Il modello di comunità autonome che amministrano se stesse e che interagiscono fra di loro in confederazioni decentrate, può prosperare solo se si espande.
La rivoluzione in Rojava promette la liberazione della società, lo sviluppo ecologico e la libertà delle donne come suoi meccanismi basilari. Per il suo successo è di vitale importanza che tutti e tre i punti siano pienamente messi in pratica.

L’attuale quarantena socio-politica così come la guerra estenuante sono velenose per lo sviluppo di stili di vita rivoluzionari in una società in cui sono ancora troppo recenti. Niente come la pressione della guerra conduce a pericolosi compromessi con il sistema.

Per evitare di commettere errori imperdonabili in questa fase abbiamo bisogno di imparare dagli esempi di analoghi progetti rivoluzionari nella storia.
Sorprende come la situazione durante la guerra civile spagnola nel 1936-1938 sia davvero simile a ciò che sta accadendo oggi in Mesopotamia: una rivoluzione comunarda anti-Stato messa in moto da un’organizzazione di persone (PYD, CNT); le tensioni tra lo Stato centrale e una popolazione (i curdi, i catalani) che, all’interno, si batte per l’autonomia; una forza rivoluzionaria combattente (YPG, FAI) che difende il paese dalla controrivoluzione clerico-fascista (Daesh, Franco) alleata con i gruppi opportunisti (peshmerga, Psuc) che godono del sostegno delle potenze internazionali (NATO, Unione Sovietica).
Senza dubbio ci sono anche grandi differenze tra le due situazioni, forse in modo più particolare tra gli anarchici catalani e il movimento di Ocalan (il confronto analitico tra queste due rivoluzioni sicuramente riempirebbe più di un libro), ma l’esempio catalano è indispensabile per capire i grandi pericoli in cui ci troviamo attualmente.

La trasformazione rivoluzionaria in Catalogna è andata sempre più compromettendosi sotto la pressione da parte dell’ala comunista e di quella della destra socialista nel governo di unità nazionale. Mentre gli anarchici rivoluzionari erano costretti al fronte dagli attacchi fascisti, passo dopo passo gli opportunisti hanno assunto il controllo delle città dietro la linea del fronte, preparandosi a tradire i rivoluzionari.
In nome delle necessità della guerra hanno guidato i consigli dei lavoratori fuori dalle fabbriche, hanno ripristinato i meccanismi repressivi e hanno creato un esercito del popolo con la leva obbligatoria (corrispondente al Rojavas Erka Parastina, servizio di leva della durata di sei mesi, obbligatoria per tutti i giovani abili) finché non hanno tradito prima i socialisti rivoluzionari e poi gli anarchici, assalendo i loro centri nelle città e uccidendone migliaia. Il risultato è stato che i fascisti hanno invaso ciò che era rimasto al tempo della repubblica spagnola.

Non dobbiamo mai dimenticare quanto facilmente tutto ciò per cui noi combattiamo può essere perso se ci distraiamo per un attimo. È così allettante facilitare tramite concessioni e accordi con il sistema la lunga e difficile strada verso la libertà. Dobbiamo soltanto renderci conto che se prendiamo un altro via, questa strada sarà persa. La guerra ci ha spinti a raccogliere al fronte tutte le nostre energie e risorse, provocando una pericolosa stagnazione nello sviluppo rivoluzionario della società. Il raggiungimento dei nostri obiettivi richiede un cambiamento delle idee profondamente radicate, una rivoluzione della mentalità. Ci vorrà più di una generazione. Dobbiamo mettere in moto ora questo cambiamento, se vogliamo che la nostra lotta si conduca a qualcosa di più di una menzione, fra cinquant’anni, nei libri di testo.

Il Rojava deve ancora dimostrare di poter realizzare la sua visione di una repubblica senza Stato. Deve questo sforzo non solo al suo popolo, ma a tutti coloro che oggi, in tutto il mondo, guardano alla Mesopotamia con la speranza che ora ci sia e stia prendendo piede un’idea più potente di tutti i fascisti del mondo. Questa speranza e questa idea potrebbero essere in grado di condurre a qualcosa di più ampio del Kurdistan o del Medio Oriente. Può condurre a un nuovo inizio nelle imprese rivoluzionarie di tutto il mondo.

È sbagliato criticare soltanto l’istituzione della Erka Parastina senza guardare alle ragioni della sua formazione. Semplicemente, non c’è alternativa alla resistenza contro Daesh a tutti i costi – e le YPG/YPJ da sole difficilmente possono raccogliere i numeri necessari. Il reclutamento forzato non è mai accettabile. Ma perché è diventata l’unica opzione? Tutti i rivoluzionari internazionalisti devono fare una severa autocritica su questo. La difesa della rivoluzione in Rojava è nostra indiscutibile responsabilità. Se avessimo riempito in tempo le fila dei nostri compagni, loro non sarebbero mai dovuti ricorrere ad uno dei più deprecabili strumenti dello Stato – costringendo i ragazzi e i giovani uomini ad andare in guerra.

Non è troppo tardi per fare i passi giusti. Il Rojava è diventato un centro rivoluzionario per persone venute da tutti i continenti per aiutare. Questo ci dà un grande prova dell’unità di cui abbiamo così disperatamente bisogno per vincere. Al momento i nostri nemici ci conoscono meglio di quanto ci conosciamo fra di noi.
Il Rojava può essere più di un esempio. Può essere il terreno comune su cui arriviamo a marciare insieme come un sol corpo contro la nazione, lo Stato e l’oppressione. E verso un nuovo futuro.

* Salvador Zana è un rivoluzionario internazionalista con radici in Europa e Africa. Attualmente è con le YPG in Rojava, nel cantone di Cizîre.
[traduzione nostra da Firat News]