Le Donne libere sono confluite a Dersim, città natale di Sakine Cansız, da diverse città per partecipare all’inaugurazione di un monumento a lei dedicato.
Dersim, zona di storica e inossidabile resistenza ma anche di feroci repressioni, è tristemente famosa per il massacro di oltre 70mila abitanti ad opera dell’esercito turco di Mustafa Kemal (Atatürk) nella seconda metà degli anni Trenta.
Scrive M. Schmidt:
[…] Dersim era punto d’incontro di diverse etnie e religioni, Kurdi, Armeni, Aleviti, Sunniti, Cristiani.
[…] Il Dersim non ha mai accettato di sottomettersi ad alcuna tirannia. Che fosse l’impero ottomano o i giovani turchi, il Dersim ha sempre levato la sua voce contro l’oppressione ed è sempre stata una spina nel fianco dei potenti. L’impero ottomano ha tentato invano di introdurre in Dersim la giurisprudenza islamica, la sharia e per la nuova repubblica di Mustafa Kemal Atatürk il disobbediente Dersim costituiva un pericolo.
All’epoca Atatürk disse: “La questione del Dersim è la questione prioritaria della nostra politica interna. È necessario che il governo sia dotato di un’autorità ampia e illimitata e per eliminare a ogni costo questa ferita interna, questo repellente ascesso”. […] Negli anni 1937/38 l’eliminazione di questo “repellente ascesso” comportò il massacro di quasi tutta la popolazione inerme. I leader del movimento di liberazione del Dersim Said Riza, Alishêr e sua moglie Zarife, furono impiccati e sotterrati in luogo sconosciuto […].
Purtroppo però a volte la storia si ripete. Così l’esercito turco, con il pretesto della lotta alla guerriglia del partito dei lavoratori kurdo PKK, ha ripreso a distruggere: tra i primi anni ’80 fino al 1995 l’esercito ha sfollato e distrutto 210 villaggi e 15.767 abitazioni (Cumhuriyet del 9./10.03.1997). I boschi sono stati tagliati e bruciati, ancora una volta ci sono stati arresti arbitrari, torture e omicidi. Dalle 20.000 alle 30.000 persone sono state costrette ad abbandonare tutto e a fuggire nelle regioni occidentali della Turchia dove continuano a vivere per lo più in completa povertà. […]
Alcuni anni fa a Dersim si è formato un nuovo movimento che si oppone al progetto del governo turco di costruire una diga sul fiume Munzur. Il fiume è lungo 144 km ed è alimentato da diversi affluenti. La Turchia intende costruire diverse dighe nella valle del Munzur. La pianificazione di questo mega-progetto avviene senza alcuna consultazione e partecipazione della popolazione interessata dalle conseguenze. […]
A proposito del massacro di Dersim, Sakine annota nel suo libro Tutta la mia vita è stata una lotta (pp. 356-357):
[…] A Hozat a volte dormimmo presso una famiglia. Le descrizioni delle nonna del genocidio di Dersim mi toccarono molto. Pianse mentre raccontava di come, nel 1938, due giovani donne del villaggio furono rapite e stuprate alle fonti di Hozat: “Sento ancora le loro grida. Si erano nascoste nella dispensa di una casa. Erano giovani donne molto belle. I soldato entrarono nella casa e le trovarono. Le aggredirono come animali”. La vecchia si fermò e sembrò perdersi nel passato. Poi proseguì: “Furono violentate ripetutamente. Le loro grida non si possono dimenticare”. Non era difficile far comprendere la necessità della nostra lotta in Kurdistan a persone che avevano assistito al genocidio di Dersim.
Ricordiamo che Sakine Cansız, una dei fondatori del PKK, il 9 gennaio 2013 è stata uccisa con Fidan Dogan e Leyla Soylemez all’interno dell’Istituto di cultura kurda di Parigi. Nella strage sono fortemente implicati i servizi di intelligence turchi.