“Le più antiche ed esperte avversarie dello Stato islamico”

A quasi un anno dalla sua pubblicazione, ci sembra importante proporre la traduzione di questo intervento di Dilar Dirik, che rende ancora più evidenti le complicità, le omertà e gli interessi che hanno determinato l’attuale situazione in Kurdistan.

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Gli ‘altri’ kurdi che combattono lo Stato islamico
Perché i kurdi, che hanno mostrato la resistenza più efficace contro lo Stato islamico, sono etichettati come terroristi?

di Dilar Dirk, 2 settembre 2014

Rojbas! “Buon giorno” al mondo, che per aprire gli occhi di fronte alla realtà massacratrice chiamata “gruppo dello Stato Islamico” ha aspettato che i kurdi yezidi a Sinjar (Shengal) si trovassero di fronte al 73mo massacro nella loro storia!

Lo Stato islamico sta massacrando in Siria da quasi due anni, senza sdegno né azioni globali. Infatti è stato anche sostenuto da diversi governi nel tentativo entusiasta di rovesciare Bashar al-Assad a qualunque costo.

Dopo un feroce attacco su Sinjar in agosto, nel corso del quale migliaia di kurdi yezidi sono stati uccisi, centinaia di donne sono state violentate, rapite e vendute come schiave sessuali, e decine di migliaia sono rimasti bloccati sui monti di Sinjar, senza cibo né acqua, i governi occidentali ora forniscono le armi alle forze peshmerga del Governo regionale del Kurdistan (KRG) nel sud del Kurdistan (Nord Iraq).

Questo non sorprende, dato che il KRG – che è controllato dal governo del Partito democratico del Kurdistan (KDP) – è un partner importante dell’Occidente e della Turchia.

I kurdi in Rojava, che l’Occidente ha dimenticato, conoscono molto bene lo Stato islamico. La regione del Rojava (in kurdo: Ovest, vale a dire il Kurdistan occidentale) ha la più alta concentrazione di popolazione kurda all’interno dei confini siriani che stanno sbiadendo. I combattenti dello Stato islamico nel corso dell’anno passato hanno ucciso centinaia di persone, soprattutto a Kobane (Ayn al-Arab) ed a Serekaniye (Ras al-Ayn). Da due anni, le Forze di difesa del popolo (YPG) e le Forze di difesa delle Donne (YPJ) stanno combattendo loro e altri gruppi islamisti, così come le forze del regime Assad. Eppure, nonostante i numerosi sforzi degli attivisti kurdi, la situazione critica della popolazione nel Rojava è stata completamente ignorata.

Inoltre, da quando le forze kurde hanno preso il controllo del Rojava, nel 2012, sono state emarginate, poiché le potenze regionali e internazionali hanno imposto l’embargo politico ed economico contro di loro. La ragione di tutto ciò è l’affiliazione ideologica del partito più influente in Rojava, Il Partito di unione democratica (PYD), con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), che da decenni lotta contro la Turchia. Le YPG/YPJ sono le Unità generali di difesa dei cantoni del Rojava, e sono vicine al PYD.

La Turchia ha convenientemente concesso ai jihadisti canali per l’approvvigionamento e il reclutamento, che hanno incrementato le loro forze nella lotta contro il Rojava. Allo stesso tempo, il KDP – un rivale tradizionale del PKK – non ha preso sul serio la minaccia dello Stato islamico ed ha anche scavato una trincea di confine (la “trincea di tradimento”) tra il suo territorio ed il Rojava.

Mentre gli yezidi hanno espresso la loro rabbia per il ritiro dei peshmerga del KDP da Sinjar all’inizio di agosto, le forze YPG/YPJ hanno attraversato il confine siriano-iracheno – ora insignificante – per salvare gli yezidi bloccati. In breve tempo i guerriglieri e le guerrigliere del PKK li hanno raggiunti. Dopo aver creato un corridoio umanitario per portare i profughi in Rojava, hanno organizzato un campo profughi a Derik, dove la gente aspetta ulteriori aiuti umanitari. Le forze YPG/YPJ ed i/le guerriglieri/e del PKK ora mantengono le postazioni nel Kurdistan del Sud e continuano a combattere lo Stato islamico, insieme ai peshmerga sostenuti dagli Stati Uniti.

Se i responsabili politici avessero ascoltato gli avvertimenti del Rojava, se avessero sostenuto i suoi sforzi per creare strutture secolari e democratiche, lo Stato islamico non avrebbe sicuramente fatto così tanta strada. Invece, nei primi mesi del 2014 i kurdi sono stati esclusi dalla Conferenza di pace Ginevra-II, ai politici PYD sono stati ripetutamente negati i visti per i paesi UE e per gli Stati Uniti, e gli embarghi continuano.

I limiti dell’intervento militare

È importante ricordare come siamo arrivati a questo punto: la “guerra al terrore” degli Stati Uniti, il commercio mondiale di armi, il settarismo sfruttato da diversi governi, il dirottamento delle cosiddette primavere arabe, l’islamofobia, il patriarcato globale.

L’intervento militare non può distruggere la popolarità di cui lo Stato islamico gode tra alcuni arabi sunniti che sono stati esclusi dalle politiche settarie dell’Iraq sciita di Maliki e della Siria alawita di Assad, né l’immenso trauma generato nei paesi a maggioranza musulmana dalle ingiuste guerre condotte dagli Stati Uniti. Non farà ritirare tutte le risorse finanziarie e militari confluite nei gruppi radicali attraverso gli Stati del Golfo.

Tale politica estera, che ha sfruttato le divisioni settarie ed istituito deleghe egemoniche – quindi rendendo perpetuo, nella regione, un sistema di totale dipendenza – non può essere sincera nella sua pretesa di sostenere la “libertà e democrazia” in Medio Oriente. Come possono i maggiori fornitori di armi parlare della “moralità” di armare le forze amiche, dopo aver casualmente venduto le stesse armi ai governi che sostengono i jihadisti?

Non sorprende che quelli al di fuori di questi parametri di dipendenza – le YPG/YPJ e il PKK – siano stati in grado di combattere al meglio una forza come lo Stato islamico, senza fare affidamento sulle armi o sull’approvazione di qualcuno, mettendo in salvo diecimila yezidi e dando alla comunità internazionale una lezione di intervento umanitario.

Solo la gente può liberarsi

Benché lo Stato islamico e il PKK combattano sui campi opposti la battaglia per la Siria e l’Iraq, entrambi i gruppi sono etichettati come terroristi. Il PKK ha esordito nel 1970 con l’obiettivo di ottenere uno stato kurdo indipendente, ma ha molto trasformato la sua visione e ora sostiene l’autonomia regionale –o “confederalismo democratico” – attraverso la democrazia di base, l’uguaglianza di genere e l’ecologia, mentre respinge lo stato-nazione come un’istituzione opprimente ed arretrata.

È intellettualmente e giornalisticamente pigro e, di fatto, fraudolento continuare a definire il PKK un’organizzazione separatista, come fanno molti organi di informazione. Il PKK ha condannato gli attacchi contro i civili che sono stati commessi in suo nome, ha dichiarato diversi cessate il fuoco unilaterali e attualmente è impegnato nei colloqui di pace. Anche lo stato turco ha accettato il PKK come partner nelle trattative.

Questa etichetta di “terrore” criminalizza anche intere comunità e milioni di persone comuni, mentre evita qualsiasi approccio teoretico a ciò che il PKK vuole. Ci sono innumerevoli resoconti di rifugiati/e yezidi che esprimono la loro gratitudine al PKK per averli salvati. Elogiano il PKK e le YPG/YPJ come forze che proteggono la gente. Il PKK deve essere riconosciuto come attore politico e gli Stati Uniti e l’Unione Europea dovrebbero rimuoverlo dalle loro “liste del terrore”.

In secondo luogo, il Rojava deve essere riconosciuto a livello internazionale. Nel bel mezzo della guerra siriana, la gente ha creato lì delle strutture di autogoverno sotto forma di tre cantoni autonomi. Questi hanno 22 ministeri con un ministro e due deputati ciascuno, uno kurdo, uno arabo e uno assiro; di questi, almeno uno deve essere una donna. Sono state create diverse scuole, accademie delle donne, cooperative di lavoro, di sussistenza e agricole, e sono stati istituiti i consigli delle donne e quelli del popolo.

Le forze di difesa di queste strutture sono le più antiche ed esperte avversarie dello Stato islamico. Gli embarghi contro il Rojava opprimono la regione in cui decine di migliaia di profughi sono ora bloccati. Essi devono essere revocati immediatamente.

I popoli del Medio Oriente sono ben in grado di creare le proprie concezioni di libertà e democrazia, se i poteri egemonici smettessero di dirottare questi tentativi per i propri guadagni. Si tratta di una utopia che la rivoluzione del Rojava sta cercando di vivere e che ha realizzato in misura considerevole. Non saranno le armi pesanti a sconfiggere lo Stato islamico, ma una organizzazione delle popolazioni in Medio Oriente democratica, egualitaria dal punto di vista di genere, autonoma. La rivoluzione in Rojava ci mostra che un mondo diverso è possibile.