Mentre proseguono le reazioni al report di Amnesty International – segnaliamo in particolare le repliche di YPG/YPJ e di Karim Franceschi, volontario italiano nelle Unità di difesa del popolo in Rojava – che sarebbe stato scritto nel quartier generale della coalizione siriana, nei social network kurdi (ma non solo) riecheggia la domanda Chi ha “suicidato” Jacky Sutton nell’aeroporto di Istanbul, ad un anno dall’omicidio di Serena Shim?
Ricordiamo che Serena Shim in diretta televisiva aveva affermato di avere le immagini dei miliziani di ISIS che entravano in territorio siriano, nascosti nei camion di organizzazioni umanitarie e del programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite…
Su Jacky Sutton, da Firat News
[…] Le bande di ISIS, supportate con tutti i mezzi dal governo dell’AKP, sono ora in grado di organizzare attacchi ovunque in Turchia. Il fatto che i membri delle bande non vengano mai presi per le loro azioni dimostra ulteriormente il sostegno fornito loro dallo Stato turco.
Anche la morte di una donna inglese, l’ex giornalista della BBC Jacky Sutton, è considerata “sospetta”, e i suoi colleghi e amici hanno espresso incredulità per le notizie apparse su media turchi secondo le quali si sarebbe data la morte da sola. Dicono che era stata minacciata di morte, sottolineando chi potrebbe essere coinvolto e responsabile della sua morte. Sutton in precedenza aveva scritto di essere stata minacciata dal ISIS […].
Per avere un quadro storico sulla strategia delle stragi in Turchia, abbiamo tradotto parte di un lungo articolo di Yvo Fitzherbert intitolato Coming to terms with the Ankara massacre.
Ci teniamo a premettere che sappiamo bene che lo stato si (auto)assolve sempre – come per le stragi in Italia, così anche in Turchia.
La lunga storia dei massacri irrisolti della Turchia
[…] Nel 1977, 36 persone sono state uccise durante una manifestazione del Primo Maggio organizzata da vari sindacati, in particolare il DISK, che erano coinvolti anche nella manifestazione per la pace di Ankara lo scorso fine settimana. Da un hotel sopra Piazza Taksim sono stati sparati dei colpi sull’affollata manifestazione, che hanno creato il caos nella piazza stipata. Nel caos che ne è seguito, testimoni oculari hanno spiegato come la maggior parte delle uscite fossero bloccate, ciò ha fatto sì che molte persone venissero calpestate a morte.
Nonostante la chiara evidenza che i colpi fossero stati esplosi da cecchini, nessuno dei colpevoli è stato catturato o portato in tribunale. I cecchini sono stati presumibilmente “arrestati”, ma tali arresti non comparivano nei registri della polizia. Dopo molti anni, il processo è stato archiviato per decorrenza dei termini, lasciando molte risposte non convincenti per un massacro che indubbiamente ha avuto una qualche forma di coinvolgimento dello Stato.
Quello di Taksim non era l’unico massacro di cui non è stata fatta giustizia. In realtà, la storia della repubblica turca è una storia di orrendi massacri che avvengono senza che venga mai fatta giustizia. Nel 1955, i nazionalisti turchi hanno attaccato la popolazione greca di Istanbul, bruciando le loro proprietà dopo che era stata erroneamente diffusa la notizia che la casa in cui era nato Atatürk a Salonicco fosse stata bombardata.
Ancora una volta, la polizia era assente in modo evidente dal pogrom, e si crede ampiamente che questo sia stato orchestrato da alcuni elementi all’interno dello stato turco come strumento per “turchizzare” ulteriormente Istanbul.
Un altro esempio è la strage di Maraş, nel 1978, quando i nazionalisti turchi hanno preso di mira in particolare gli aleviti, ma anche alcuni kurdi di sinistra. Nel 1993, un gruppo di scrittori e studiosi aleviti si è incontrato per una conferenza in un albergo a Sivas. Una folla islamista si è scagliata contro l’albergo dove si svolgeva l’incontro per attaccarlo e poi incendiarlo per oltre otto ore, senza alcuna interferenza da parte della polizia. In totale, 33 importanti intellettuali aleviti sono stati uccisi, e sebbene alcuni dei responsabili siano stati presi, non sono state mai fatte azioni penali contro le forze di polizia che non sono intervenute.
In tutti questi esempi, gli effettivi autori dei massacri non sono mai stati pienamente portati a processo. Così il massacro di Ankara dovrebbe essere visto come un altro massacro di una lunga lista di massacri la cui ambigua natura lascia pochi dubbi alla gente riguardo la complicità dello Stato.
Su “Jadaliyya”, Simen Adar spiega questo paradosso: “Le ultime malefatte dello stato implicano soltanto che la principale responsabilità per l’esplosione mortale di Ankara ricade soprattutto sugli attori statali e sulle istituzioni, fino a prova contraria”, mentre spiega anche il paradosso della politica turca, per cui “non è quasi mai possibile trovare il colpevole ricorrendo a prove concrete perché lealtà verso lo stato è di gran lunga superiore al senso di giustizia”.
Qual è la prova del coinvolgimento dello Stato nel massacro di Ankara?
Molti hanno sostenuto che la polizia sia arrivata sulla scena un quarto d’ora dopo l’esplosione. A quel punto, l’orrore dei manifestanti è diventato sdegno: la polizia, nel tentativo di liberare l’area, ha sparato decine di gas lacrimogeni sulla folla.
Le organizzazioni sanitarie della Turchia hanno criticato la risposta medica alla tragedia. Alle ambulanze che portavano le vittime in ospedale è stato impedito di passare attraverso cordoni di polizia. In tutta Ankara, gli ospedali hanno lottato per gestire il crescente numero di vittime e hanno fatto un appello disperato per le donazioni di sangue, che ha inondato i social media. A questo è seguito un annuncio televisivo del ministero della Sanità, in cui si dichiarava che le donazioni di sangue non erano necessarie.
Inoltre, il governo ha imposto il silenzio stampa sui rapporti e le indagini sulle persone sospettate per l’attentato di Ankara finché tutti i sospetti non fossero stati arrestati dallo Stato. I media di stato continuano a riferire che dietro l’attentato potrebbe nondimeno esserci il PKK, in un attacco coordinato con ISIS. Sebbene tra i morti di Ankara ci fossero decine di attivisti dell’HDP, i politici dell’AKP, insieme con i media filo-governativi, hanno rapidamente accusato l’HDP di essere colpevole. Tuttavia, la brutale reazione dello stato al massacro attraverso l’azione della polizia, insieme con il bavaglio all’informazione, nella mente di molte persone punta in una direzione diversa. La domanda rimane, però, perché un tale massacro beneficerebbe Erdogan e lo Stato turco? E qual è – se c’è – il loro rapporto con gli autori, gli jihadisti di ISIS di origine turca?
ISIS, lo stato e la cellula Dokumacılar Adıyaman
Il governo dell’AKP, dopo aver inizialmente suggerito che potesse trattarsi di un’opera del PKK o di altri gruppi di sinistra, hanno recentemente annunciato di aver trovato i due kamikaze, uno dei quali è Yunus Emre Alagöz, il fratello del kamikaze di Suruç, Seyh Abdurrahman Alagöz. Questi due fratelli erano anche noti amici di Orhan Gönder, l’attentatore del comizio elettorale pro-kurdo di Diyarbakır nel mese di giugno, che ha ucciso 4 persone e ne ha lasciate decine feriti.
Insieme, questi tre amici hanno ormai ucciso oltre 130 persone, e fanno parte di un gruppo noto come “gruppo Dokumacilar”, o “cellula Adiyaman”. Ad Adiyaman, i fratelli Alagöz gestivano un negozio di tè, conosciuto come l'”Islam Tea House”. Questo è diventato noto in breve tempo come luogo in cui veniva predicato l’Islam radicale, ed è stato chiuso solo dopo che le famiglie si erano più volte lamentate con la polizia.
Poco dopo, i fratelli Alagöz sono partiti per la Siria. Si pensa che anche Orhan Gönder sia partito in quel periodo. Si stima che il gruppo Dokumacılar abbia circa 60 aderenti, tutti i cittadini turchi che hanno combattuto con ISIS in Siria. I report provenienti da Adiyaman, città conservatrice a sud-est della Turchia, hanno suggerito che questo gruppo abbia una relazione con i funzionari della frontiera turca, che permettono loro passare facilmente tra la Turchia e la Siria.
Tuttavia, la verità per quanto riguarda questo gruppo rimane avvolta nel mistero. Orhan Gönder, che è attualmente in carcere in attesa di processo, era stato arrestato dalla polizia turca solo due giorni prima che facesse esplodere le due bombe simultanee al raduno di Diyarbakır nel giugno scorso. Sebbene ci fosse, dal 2014, un mandato d’arresto per Gönder dopo che la sua famiglia aveva informato la polizia della sua adesione a ISIS, la polizia lo ha semplicemente rilasciato a Diyarbakir dopo aver cercato la sua camera d’albergo e averlo interrogato sul perché non avesse fatto il servizio militare.
Come nel caso di Gönder, i servizi di sicurezza turchi dovevano aver saputo dei fratelli Alagöz. “Sono andato molte volte dalla polizia per cercare di riavere indietro dalla Siria mio figlio – ha detto il padre del secondo attentatore di Ankara, citato dal giornale turco Radikal. “Ho chiesto alla polizia: ‘Per favore, prendetelo e buttatelo in carcere’. Hanno preso la sua denuncia e poi lo hanno fatto andare via”.
Nel periodo immediatamente successivo alla strage di Suruç, il giornalista Ezgi Basaran ha scritto su Yunus Emre Alagöz in un articolo dal titolo, “Un altro bombardamento è più vicino di quanto pensiamo”. L’articolo serviva da avvertimento per il pubblico sulla probabilità che Alagöz seguisse le orme dei suoi fratelli, una previsione che si è rivelata tristemente veritiera. Le autorità turche erano chiaramente consapevoli di questo fratello, ma semplicemente non hanno agito. La questione rimane: una tale trascuratezza da parte delle forze di sicurezza turche nel non affrontare questa cellula può semplicemente essere spiegata come negligenza? Oppure è, invece, una decisione cinica da parte dello stato come modo per colpire i gruppi di opposizione?
Davutoğlu, che è stato sottoposto ad un fuoco di fila di critiche la scorsa settimana per la strage di Ankara, ha risposto in maniera bizzarra. In primo luogo, ha affermato di aver arrestato Abdurrahman Alagöz dopo la bomba di Suruç, chiaramente dimenticando che si era fatto esplodere. Questo è stato seguito da una dichiarazione sulle difficoltà di arrestare i potenziali attentatori suicidi: “Abbiamo la lista dei potenziali attentatori suicidi, ma non possiamo arrestarli fino a quando non entrano in azione”.
Tale dichiarazione è stata pesantemente criticata, soprattutto considerando gli accresciuti poteri di sicurezza del governo, che vengono regolarmente utilizzati contro gli attivisti curdi collegati al filo-curdo HDP. Demirtaş ha fermamente sottolineato l’ipocrisia del governo: “Possono buttare le persone in carcere per una singola frase – ha detto dopo l’esplosione, riferendosi al giro di vite sui membri dell’HDP da luglio – ma quando ne perdiamo 150 negli attacchi non ci sono colpevoli da trovare”.
Per la maggior parte delle persone, Erdogan sembra aver deliberatamente permesso la presenza e la mobilità delle cellule di ISIS in Turchia come mezzo per fomentare la paura e il caos in tutta la nazione. Per molti, il fatto che giornalisti, politici e avvocati abbiano chiesto ulteriori indagini sulla presenza di ISIS, e che il governo abbia rifiutato di portare avanti eventuali indagini, mostra il vero volto di Erdogan e del suo governo guidato da AKP.
All’interno dello Stato, sono chiaramente presenti delle forze oscure. Da quando, in luglio, è ripresa la guerra tra il PKK e il governo turco, c’è stato un giro di vite della polizia turca desiderosa di reprimere l’inquieta popolazione kurda nel sud-est. Guidati dal YDG-H, l’ala giovanile del PKK, i kurdi sono stati impegnati difendere i loro quartieri, spesso arrivando a scontri armati contro le forze di sicurezza turche.
Inoltre, stanno emergendo resoconti sull’infiltrazione politica di cellule di ISIS all’interno della polizia turca. A Silvan, che è stata teatro di un violento assedio e repressione in agosto, dopo che la popolazione locale ha dichiarato l’autonomia dallo stato, testimoni oculari hanno raccontato che la polizia entrava nei quartieri gridando “Allah Akbar”. Tali grida religiose sono qualcosa che noi associamo ad ISIS, non alle forze di polizia della Turchia.
Questi sospetti sono aumentati questa settimana, quando le forze speciali sono entrate nella vecchia città ribelle di Diyarbakir e hanno scarabocchiato sul muro un avvertimento inquietante: “Allah dice basta a tutto! Vedrete il potere del Turco”[1].
Sotto questi graffiti c’era il nome “Esedullah Tim”, che si pensa sia una cellula di ISIS all’interno delle forze di polizia. Di recente, il parlamentare HDP Çağlar Demirel ha chiesto: “Qual è il legame di Esedullah con lo stato e il governo temporaneo dell’AKP? Lo stato ha prodotto una forza di contrapposizione sotto il nome di Esedullah?”.
Questi sono tempi agghiaccianti. Se tali gruppi, con chiari collegamenti a ISIS, sono ora all’interno delle forze di polizia turche, questo mostra quanto lontano può andare lo stato per instillare la paura e reprimere il proprio popolo. La lunga lista dei precedenti massacri mostra fino a che punto è arrivato in passato il governo turco per mantenere il potere e mettere a punto il suo ordine del giorno. Con i tre attentati di quest’anno, due dei quali sono stati dei massacri, sembra che i giorni bui dello “stato profondo” turco siano tornati a tormentare la Turchia.
Una nazione infestata
La lunga storia dei massacri della Turchia, e la loro incapacità di risolvere le questioni che li circondano, li rendono colpevoli fino a prova contraria. In questo, il mancato ascolto degli avvertimenti dei cittadini interessati consapevoli dei reali pericoli delle cellule di ISIS che riproducono il jihadismo tra molti giovani turchi, mentre allo stesso tempo si mette in atto un così brutale giro di vite sul movimento politico turco di sinistra e curdo, alla fine sarà visto come una delle principali cause del massacro di Ankara.
Guardando il quadro storico delle precedenti indagini della Turchia sui numerosi massacri che hanno avuto luogo, per molti è scontato concludere che il massacro di Ankara resterà irrisolto. A meno che Erdogan e il suo governo ad interim dell’AKP rompano questa continuità storica affrontando seriamente le cellule di ISIS, così come tutti i rapporti cancerogeni con tali cellule, non sarà mai fatta giustizia per la strage di Ankara. Altrimenti le parole di Ruhi Su “Questa piazza è una piazza piena di sangue” suoneranno vere per sempre, lasciando una nazione infestata a lottare per venire a patti con i suoi massacri.
[1] Türkün gücünü göreceksiniz [“Vedrete il potere del Turco!”], era stato gridato dal capo delle forze speciali di polizia, Ersin Demirel, quando, l’8 agosto scorso, aveva rinchiuso e torturato 52 persone in un cantiere edile. Ersin Demirel è stato poi catturato dalla guerriglia dieci giorni più tardi [nota nostra].