A Mabij continuano, da giorni, i combattimenti contro Daesh, e intanto le donne dei quartieri liberati dai combattenti bruciano i burqa che erano stati loro imposti dai fondamentalisti.
In Turchia, invece, le associazioni femministe e le organizzazioni di donne denunciano il moltiplicarsi di abusi sessuali e minacce con le piazze piene di sostenitori dell’Akp e squadre punitive alla caccia di traditori. Il maschilismo di cui è impregnata l’ideologia del partito di Erdogan trova uno specchio nei suoi sostenitori, non ci sorprende.
Mentre ancora una volta la Turchia rifiuta di consegnare ai familiari il corpo di una giovanissima combattente kurda – Eylem Ataş, nome di battaglia Cemre Heval – caduta in Siria nella lotta contro ISIS, si moltiplicano le testimonianze delle donne yezide sull’occupazione di Shengal/Sinjar, il genocidio degli yezidi e i rapimenti da parte di ISIS/Daesh il 3 agosto del 2014.
Vi invitiamo a leggere le testimonianze raccolte in questo articolo, che non solo ribadiscono le ben note atrocità dei fondamentalisti, ma anche le difficoltà che hanno incontrato le ragazze yezide che sono riuscite a fuggire dalle mani dei loro stupratori e sfruttatori. Una volta fuggite, infatti, sono spesso diventate occasione di guadagno per chi, ospitandole durante la fuga, ne ha poi chiesto il riscatto ai loro familiari.
In vista del secondo anniversario del massacro di Shengal, JINHA sta pubblicando una serie di articoli sull’evoluzione della resistenza delle donne yezide in questi due anni; volentieri li segnaliamo: 1, 2, e 3.
Per avere un’idea delle condizioni in cui è ridotta la città di Shengal dopo il genocidio, è sufficiente guardare la prima parte di questo documentario, interessante se pur a tratti criticabile.