La trappola di Erdogan

Per comprendere meglio il ruolo giocato dal report di Amnesty in chiave anti-kurda e, soprattutto, quale tranello stia cercando di tendere la Turchia colpendo le postazioni delle YPG in Rojava, abbiamo tradotto le parti salienti di un articolo di Fehim Tastekin, pubblicato originariamente su Al-Monitor e poi ripreso da Kurdish Question.

Schermata 2015-11-01 a 15.41.30[…] Di recente, le forze armate turche (TSK) hanno colpito le Unità di difesa popolare (YPG). Le YPG hanno rilasciato una breve dichiarazione riconoscendo che l’esercito turco aveva attaccato le loro postazioni sul confine, usando fucili A-4 dalle 19 alle 21 del 24 ottobre e mitragliatrici MG-3 il 25 ottobre, dalle 2 alle 4 del mattino. Le TSK hanno elencato, come al solito, tutte le loro azioni sul loro sito web, ma non hanno menzionato questi particolari attacchi. Il governo non ha aperto bocca fino alla notte del 26 ottobre, quando il primo ministro Ahmet Davutoglu durante una trasmissione televisiva ha affermato: “Noi avevamo detto sia alla Russia che agli Stati Uniti che il PYD non avrebbe attraversato il fiume Eufrate verso nord. Abbiamo colpito il PYD due volte”.

I media filogovernativi hanno riportato una diversa versione dei fatti. Secondo il Daily Sabah “Gli aerei turchi hanno colpito due barche delle YPG che tentavano di infiltrarsi ad ovest dell’Eufrate. I militanti sulla barca erano stati invitati ad allontanarsi”. Sabah ha anche riportato che le YPG stavano cercando di infiltrarsi nella zona da Azaz est a Jarablus, che la Turchia considera una zona di sicurezza.

Coloro che hanno riportato questa notizia erano apparentemente inconsapevole di certi fatti. Le YPG e i loro alleati arabi avevano preso Tel Abyad in giugno. L’asse Jarablus-Raqqa si trova tra Kobanê e la linea Azaz-Marea, che la Turchia ha dichiarato una linea rossa. In altre parole, secondo quanto riportato dal Daily Sabah, l’area in questione è controllata da ISIS. Se, come riportato, i/le combattenti delle YPG avevano attraversato l’Eufrate verso ovest, non si stavano dirigendo verso la zona di sicurezza in Turchia, ma verso Jarablus, controllata da ISIS. Se gli aerei turchi hanno davvero colpito le barche delle YPG nel fiume, ciò significherebbe che la Turchia stava impedendo che le unità delle YPG raggiungessero le posizioni di ISIS, stavano, quindi, difendendo indirettamente ISIS.

Fonti kurde della Siria settentrionale hanno detto ad Al-Monitor che il rapporto del Daily Sabah era senza fondamento e che le YPG non hanno effettuato operazioni nell’Eufrate con le barche. In questo momento, non c’è in corso nessuna operazione per prendere Jarablus, hanno affermato le fonti. Secondo le informazioni raccolte da Al-Monitor, ci sono stati quattro episodi di fuoco dalla Turchia, due volte verso Kobanê e due volte verso Tel Abyad. I kurdi definiscono ciò “provocatorio bersagliamento di fuoco”.

[…] Salih Muslim, co-presidente del PYD, ha detto ad Al-Monitor che due civili sono stati feriti a Buban dal fuoco turco, affermando: “Questi attacchi sono provocazioni. Si tratta di propaganda elettorale da parte del governo dell’AKP [Partito per la giustizia e lo sviluppo]. Il nostro popolo non sarà provocato da questi attacchi”. Muslim ha anche detto che nella zona vicino all’Eufrate ci sono occasionali scambi di fuoco tra le posizioni di ISIS e quelle delle YPG, ma che le YPG non hanno cercato di attraversare l’Eufrate verso ovest.

Muslim ha dichiarato, “La politica di Ankara è solo quella di evitare che le YPG attraversino il fiume. [ISIS] sta massacrando donne e bambini ad ovest del fiume, ma Ankara non dice nulla al riguardo. Dire che le YPG non devono andare verso Jarablus significa solo lasciare che [ISIS] faccia ciò che vuole”.

[…] a Tel Abyad viene applicata la politica turca di creare una pericolosa tensione. In un discorso tenuto il 24 ottobre, che prendeva di mira l’HDP colpendo il PYD, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha enunciato con chiarezza questa politica, minacciando il Rojava (i kurdi nel nord della Siria) facendo uso di informazioni non verificate: “Questa gente pensa ai propri interessi e a tal fine può collaborare con il PKK o [ISIS]. Non è questo ciò che stavano facendo a Tel Abyad? [ISIS] entra a Tel Abyad poi se ne va, e il PYD entra nella città. Questo è tutto un gioco. Chi possiede quel posto? Il 95% delle persone in quella città sono arabe e turcomanne, il 5% kurde. Il loro obiettivo era quello di trasformare quel luogo in un cantone, ed è ciò che hanno fatto. Questo rappresenta ora una minaccia per la Turchia. Ciò significa che la Turchia farà ciò che è necessario. Che tutti lo sappiano”.

Il racconto di Erdogan va messo in discussione. Per prima cosa, la storia di come Tel Abyad sia passata di mano contraddice la realtà. Erdogan, che ha frequentemente ripetuto le accuse di pulizia etnica da parte dei kurdi nel nord della Siria, ora ricorre alla manipolazione del numero di kurdi nella zona. Fonti siriane consultate da Al-Monitor stimano che il numero di kurdi sia tra il 30% e il 45%, e non il 5% come sostiene Erdogan.
Gruppi sostenuti dalla Turchia avevano iniziato ad espellere i kurdi da Tel Abyad il 19 luglio 2013, dopo essersi impossessati della città. Ciò è continuato fino al 5 agosto 2013, quando ISIS ne ha preso il controllo esclusivo. ISIS ha sequestrato le attività kurde appendendovi insegne che le dichiaravano “proprietà dello stato.”

Secondo le informazioni raccolte da Al-Monitor, circa il 40% dei kurdi fuggiti dai jihadisti è potuto tornare a Tel Abyad. Di 250 famiglie armene che erano fuggite ad Aleppo, ne sono tornate soltanto 50. Come si ricorderà, nell’ottobre 2014 Erdogan aveva detto: “Non voglio discutere se Kobanê sia kurda o araba. Ma il suo vero nome è Ayn al-Arab”. Questa volta, però, egli ha adottato il mantra “Tel Abyad appartiene agli arabi e ai turcomanni”. Erdogan non vuole riconoscere un altro pezzo di realtà che confuterebbe il suo racconto: l’attuale Tel Abyad era stata fondata nel 1915 dagli armeni deportati dall’Anatolia.

Per quanto riguarda la sensibilità di Erdogan sulla questione di stabilire i cantoni – che lo ha portato a dichiarare il 25 ottobre, “Non lasceremo che questo accada” – ecco ciò che si è venuti a sapere: nell’ottobre 2015 si sono formati un consiglio esecutivo e un’assemblea come risultato della intensa collaborazione tra il Movimento per una società democratica (TEV-DEM) e i rappresentanti delle tribù a Tel Abyad. Il consiglio è composto da sette arabi, quattro kurdi, due turcomanni e un armeno. Anche l’assemblea riflette la composizione etnica della zona. Come a Kobanê, Jazeera e Afrin, per il governo di Tel Abyad è stato adottata una copresidenza. Mansur Salloum, un arabo, e Leyla Mustafa Muslim, una kurda, sono stati eletti copresidenti. Tel Abyad è stata inclusa nel cantone di Kobanê nel mese di ottobre. In breve, nella città è stata stabilita un’amministrazione autonoma democratica, corrispondente alla realtà etnica di Tel Abyad.

Come valutano i kurdi questa politica di accresciute tensioni che stanno affrontando? Ferhad Derik, un membro del consiglio esecutivo del TEV-DEM che vive a Tel Abyad, ha detto ad Al-Monitor che i kurdi sentono di venire provocati.

“Siamo consapevoli del gioco che si sta giocando qui. Se le YPG rispondono, [Ankara] dirà al mondo “Vedete? Sono terroristi!”. Noi facciamo attenzione a non cadere in questa trappola. Prima c’era anche stato un bersagliamento di fuoco, ma le YPG non avevano risposto. [Ankara] esprime incessantemente accuse di pulizia etnica, che sono infondate. Non siamo motivati dal desiderio di vendetta, nonostante quello che è stato fatto ai kurdi in precedenza. Ci sono molte case danneggiate e trappole esplosive. Solo oggi [ottobre 27], due militanti delle YPG sono stati uccisi mentre disinnescavano una trappola esplosiva. Ma siccome la sicurezza aumenta, e c’è meno probabilità di attacchi di ISIS, le persone stanno tornando nelle loro case”. Derik ha parlato con Al-Monitor mentre stava partecipando ai funerali dei due combattenti. […]