Trecento donne non iraqene sono state spostate a Mosul dal gruppo Takfiri di ISIS, per essere costrette alla schiavitù sessuale.
Al 16 dicembre scorso, nella sola provincia iraqena di al-Anbar, risultavano esser state assassinate almeno 150 donne, di cui alcune in stato di gravidanza, che si erano rifiutate di “sposare” i mercenari di ISIS. I loro corpi sono, poi, stati seppelliti in fosse comuni a Falluja.
Hana Nawafili, portavoce dell’Osservatorio iracheno per la Difesa delle donne maltrattate, ha detto che il 18 luglio scorso ISIS ha violentato e poi ucciso sette donne residenti a Fallujah.
Al confine turco con la Siria, dove già si contano nove morti e 114 persone torturate nell’arco di un anno, i militari turchi hanno violentato una giovane donna palestinese ed hanno torturato suo padre e suo fratello, mentre cercavano di scappare dalla guerra.
Ad Aleppo, in Siria, i fondamentalisti di al Nusra hanno rapito donne e bambini.
In risposta a questo sequestro, le donne di Aleppo – che già si erano organizzate per l’autodifesa – hanno bloccato la strada che da Aleppo porta ad Efrîn, denunciando l’accaduto.
E mentre le madri dei guerriglieri e delle guerrigliere continuano le loro mobilitazioni contro la guerra al fianco delle madri dei soldati o si uniscono alle unità di autodifesa, le donne di Cizre hanno fatto una manifestazione al termine della quale le donne musulmane hanno gettato per terra le sciarpe con cui si coprono il capo – gesto che in Kurdistan sta a significare la necessità di dar fine ad un conflitto.
A queste voci si unisce quella di Gülistan Yalçındağ, attivista kurda per i diritti umani, la quale parlando di Aylan – il bimbo in fuga con la famiglia, il cui cadavere è stato riportato dal mare su una spiaggia in Turchia – ha indicato quelli che hanno permesso l’attacco di ISIS a Kobane come i veri responsabili della morte di Aylan e dei suoi familiari.