Da agosto 2014 e per alcune settimane, le prime pagine dei giornali riportavano in continuazione le notizie sui rapimenti, la costrizione alla schiavitù sessuale e domestica delle donne yezide da parte dei mercenari di ISIS. Oggi è, invece, diventato assai raro trovarne notizia, in particolare sui media italiani, a parte qualche articolo voyeuristico che insiste molto sulle modalità di stupro e tortura da parte di ISIS.
Sicuramente il fatto che la via di salvezza per la popolazione yezida di Shengal sia stata aperta, nell’agosto 2014, dal PKK e da YPG/YPJ – mentre i peshmerga di Barzani se la davano a gambe, abbandonando le armi nelle mani dei fondamentalisti – non fa il gioco del macellaio turco che, nel suo rinnovato e feroce massacro della popolazione nel Kurdistan del nord (113 morti negli ultimi 78 giorni…) col pretesto del “terrorismo”, ha cominciato anche a decapitare i kurdi, esattamente come ISIS, e ad usare armi chimiche e bombe al fosforo.
E sicuramente anche il fatto che il PKK e le YJA Star stiano ancora combattendo contro ISIS, in questi giorni, nella zona di Shengal insieme alle Unità yezide di autodifesa delle donne e del popolo (YPJ-Shengal e YBŞ), aumenta questo silenzio assordante.
Spesso le ragazze rapite scelgono il suicidio piuttosto che continuare ad aspettare, dopo oltre un anno, di riuscire a salvarsi o di venire salvate in qualche modo – come racconta Ameena Saeed Hasan, ex parlamentare yezida che con il marito sta aiutando le ragazze e le donne yezide a scappare dalla prigionia.
Ameena Saeed Hasan spiega che, quando ISIS aveva inizialmente preso Mosul, si pensava che gli yezidi sul Monte Sinjar fossero al sicuro: “Abbiamo detto ‘Perché dovrebbero venire a Sinjar?’– ricorda – Non c’è petrolio né altro. Che cosa potrebbero prendere?”.
Alla fine, come sappiamo, hanno rapito circa 5mila donne di tutte le età, bambine comprese, per farne delle schiave sessuali.
“La gente mi conosce. Io sono di Sinjar e anche io sono yezidi – dice Ameena Saeed Hasan – conosco molte persone che sono state rapite. Alcune erano miei parenti, miei vicini di casa, e mi hanno chiamata”.
Anche dopo esser riuscite a scappare, il trauma vissuto è così profondamente impresso nella carne e nella memoria che molte ragazze e donne si suicidano, come abbiamo già spiegato in un post precedente.
E succede che anche chi era riuscita a mettersi in salvo da ISIS, ha poi trovato la morte cercando di arrivare in Europa, come Helin, trovata fra i 71 cadaveri chiusi in un camion abbandonato per strada in Austria, o come Dikhoas (8 anni), Shreen (15 anni) e Bassma (12 anni) tre sorelle affogate nel Mediterraneo alcuni giorni fa.
Sopravvissute al genocidio e ai rapimenti perpetrati da ISIS, queste giovanissime ragazze hanno trovato la morte cercando di attraversare i confini della Fortezza Europa, dove il genocidio continua…
Sarà forse anche per questo che delle donne yezide non sentiamo più parlare?