A Nusaybin le forze dello stato hanno arrestato e torturato la popolazione; anche il musicista Erkan Benli della band Koma Sê Bira è stato torturato in carcere: dopo averlo costretto a cantare l’inno nazionalista “Ölürüm Türkiyem” (“Morirò per te mia Turchia”), i poliziotti gli ha spezzato le dita, perché non possa mai più suonare. Ma mentre le forze criminali del governo turco proseguono nei massacri intrisi di sadismo, la resistenza non si ferma e, anzi, si potenzia.
Bese Hozat, copresidente del Koma Civakên Kurdistan (KCK), il gruppo delle comunità del Kurdistan, ha rilasciato un’intervista – che vi invitiamo a leggere – in cui tratta anche del ruolo dei paesi occidentali nel genocidio del popolo kurdo.
In Rojava, fra la popolazione civile, sono nate le Forze di Autodifesa delle Donne (HPC-JIN): “La gente pensava che la protezione delle nostre terre fosse una cosa da uomini, ma abbiamo cambiato questa percezione fondando le HPC-JIN”, ha dichiarato la responsabile delle HPC-JIN di Dirbêsîyê, Henîfe Ehmed, spiegando che le HPC-JIN combattono contro la violenza, le molestie e gli stupri. Continua a leggere