“La nostra rabbia è più grande della nostra paura”

Alla manifestazione che si è tenuta ieri a Milano abbiamo intervistato una compagna kurda, che ci ha spiegato l’attuale situazione nel Kurdistan e le possibili evoluzioni, nonché i prossimi appuntamenti. Abbiamo, così, scoperto che Erdogan verrà in Italia il 16 settembre e ci sarà un presidio sotto l’ambasciata turca, a Roma.

Ascolta l’intervista (con pazienza: è montata come playlist)

AGGIORNAMENTI:

Negli scorsi due giorni, in Turchia e in Kurdistan le manifestazioni di protesta per il massacro di Suruc sono state caricate dalla polizia turca e ne sono seguiti degli scontri.

“La nostra rabbia è più grande della nostra paura”, è stato dichiarato al funerale di Ece Dinç ad Istanbul, mentre la folla, con le donne in prima fila, cantava “Da Arîn ad Ece camminiamo verso la rivoluzione” – ricordando la martire delle YPJ Arîn Mîrxan.

La polizia ha anche cercato di impedire l’afflusso alle tende del lutto. Sono state inoltre denunciate le forti pressioni poliziesche su alcune famiglie dei morti perché i funerali venissero fatti in forma non pubblica, nonché le cariche contro le/i giovani che avevano organizzato cordoni di autodifesa per i cortei funebri.

I/le prigionieri politici hanno annunciato che da domani cominceranno tre giorni di sciopero della fame  per dare il loro sostegno alle proteste.

È stata denunciata anche la complicità “passiva” della polizia turca nel rapimento di una giovane donna da parte di sei paramilitari, nella provincia di Diyarbakır.

Da una parte all’altra del confine, tanto le donne del Rojava, quanto le/i giovani della carovana per Kobane decimata dalla strage ribadiscono la propria determinazione.

Besê Erzincan – del coordinamento delle Comunità di donne del Kurdistan – ha dichiarato che finché non ci sarà giustizia non verranno deposte le armi.

L’ufficio stampa dell’HPG (People’s Defense Forces) ha annunciato ieri l’uccisione di due poliziotti che collaboravano con Isis a Ceylanpınar, nel distretto di Urfa, al confine tra Turchia e Siria.

L’appello di Ezgi non rimarrà inascoltato!

770x500cc-ist-20-07-2015-sgdf-kobane-ezgi-manset“Andremo in questo luogo, dove c’è stata la rivoluzione delle donne, e lo ricostruiremo”. Poco prima di essere uccisa nell’attentato di Suruç l’attivista Ezgi Sadet, 20 anni, aveva invitato tutti i rivoluzionari e le rivoluzionarie a sostenere Kobanê.
Ezgi si definiva una “figlia di Gezi” – in riferimento alla rivolta di Gezi Park.
“Tutti i figli e le figlie di Gezi hanno bisogno di venire a Kobanê, perché lì è in atto una rivoluzione. Tutti hanno bisogno di sostenerla, soprattutto le donne. Chiamiamo tutte le donne, tutti i/le figli/e di Gezi, tutti coloro che resistono, tutti i/le rivoluzionari/e, i socialisti, tutti quanti ad essere solidali con Kobanê”.

Rûheyv Agirî, del Movimento delle giovani donne del Rojava, ha osservato che l’attentato di Suruç è coinciso con il terzo anniversario della rivoluzione in Rojava. “Il sistema repressivo vuole affogare i giovani in politiche sporche”, ha detto Rûheyv, mentre Berçem Roni, direttrice dell’Unione della Gioventù del Rojava, ha fatto appello alla gioventù di tutto il mondo affinché non riconosca mai più le frontiere.

Intanto le attiviste di Iniziativa delle Donne per la Pace hanno indetto per domani ad Istanbul una manifestazione rumorosa contro la guerra, le politiche bellicose dell’AKP [il partito di Erdogan, al potere in Turchia], il linguaggio guerrafondaio dei media, l’interruzione del processo di pace in Turchia, e per protestare contro le tante stragi che hanno avuto luogo in Turchia negli ultimi anni – da Reyhanlı a Diyarbakır a Suruç.
Le donne si riuniranno al molo di Istanbul, nel quartiere Eminönü, giovedì 23 luglio, alle 19.

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“Non possiamo fare appello ai tiranni”

Come è avvenuto il massacro Suruç, e perché?
di Amed Dicle

I/le giovani che sono morti o sono rimasti feriti a Suruç avevano un unico scopo: andare a Kobanê e unirsi alla ricostruzione della città. I/le partecipanti alla Federazione delle Associazioni della Gioventù Socialista (SGDF) avevano emesso un comunicato stampa prima di andare a Suruç. Da un mese era noto che questi giovani si preparavano a partire.

I residenti di Suruç, i giovani e i rappresentanti delle organizzazioni non governative avevano salutato i giovani a Suruç. Si erano incontrati con il governatore distrettuale e gli avevano detto che volevano attraversare il confine per andare a Kobanê. Il governatore distrettuale li ha fatti aspettare dicendo che solo alcuni/e di loro potevano attraversare il confine, e non l’intero gruppo.

Il sanguinoso attacco a Suruç è avvenuto dopo che i/le giovani avevano rilasciato una dichiarazione alla stampa nel Centro Culturale Amara, in risposta al diniego del governatore distrettuale.

Dovremmo porre le seguenti domande sull’attacco:

1- La polizia perquisiva i giovani che si stavano dirigendo al centro culturale Amara. Il posto di blocco della polizia era a 200 metri dall’Amara, e la polizia avrebbe potuto farlo più vicino al centro culturale. La polizia ha fatto il posto di blocco a 200 metri dall’Amara in modo da non farsi male con l’esplosione?

2- Come ha fatto il kamikaze di ISIS ad entrare nel centro culturale in una zona in cui la polizia perquisiva ogni notebook, ogni macchina fotografica e perfino ogni matita dei/delle giovani massacrati? Continua a leggere

Strage di Suruc: presidi di solidarietà

“Abbiamo difeso Kobane insieme, la ricostruiremo insieme”, questo il nome della campagna per la ricostruzione di Kobane che animava le giovani vite distrutte ieri mattina – 32 morti e oltre 100 feriti – da un attacco suicida nel centro culturale curdo Amara di Suruc, nel Kudistan turco, attivissimo nel sostegno ai profughi.

Un attacco pianificato a tavolino, visto che alla stessa ora un veicolo imbottito di esplosivo cercava di buttarsi contro un checkpoint delle YPG a Kobane. E proprio a Kobane stavano dirigendosi quelle centinaia di giovani turchi/e e curdi/e, per costruire una biblioteca e un parco giochi e ripiantumare un bosco.

Più voci denunciano le responsabilità del governo turco nel massacro di giovani donne e uomini della Socialist Youth Associations Federation (SGDF), dell’HDP (People’s Democratic Party), dell’ESP (Socialist Party of the Oppressed) della BEKSAV (Science Education Artistic Culture and Arts Research Foundation) e di Anarchist Activity, che avevano appena ascoltato le testimonianze dei familiari di Suphi Şoreş, comandante delle BÖG (United Forces of Freedom), e di Leyla Doğan, combattente delle YPJ, entrambi morti combattendo contro ISIS a Serekaniye e a Kobane.

Ieri sera la polizia turca ha caricato violentemente con idranti e lacrimogeni le/i manifestanti che ad Istanbul gridavano “Erdogan assassino”, “Erdogan collaboratore” e “Vendetta per il PKK”.

Per oggi, nel Kurdistan del Nord è stata dichiarata una giornata di lutto.

Per approfondimenti rimandiamo direttamente a Firat News e Uiki Onlus, in continuo aggiornamento, mentre i presidi di solidarietà vengono man mano annunciati da Uiki.

Al momento possiamo segnalare:
martedì 21 luglio
TORINO: ore 17 – p.zza Castello
MODENA: ore 18 – largo Garibaldi (Teatro Storchi)
ROMA: ore 19 – p.zza dellla Repubblica
PARMA: ore 21 – p.zza Ss. Annunziata (attenzione: ci comunicano che è stato spostato in piazza della Pace)

mercoledì 22 luglio
CAGLIARI: dalle 10 alle 13 – Piazza Palazzo (di fronte alla Prefettura)
MILANO: dalle 16 in poi – piazza Duomo

Ancora armi chimiche. E non solo…

Benché i media italiani non facciano, oggi, il minimo accenno all’uso di armi chimiche da parte di ISIS ad Heseke e dintorni, sui giornali internazionali la notizia ha un notevole rilievo.
Per altro, già un anno fa ISIS aveva utilizzato armi chimiche nell’attacco a Kobane; ne aveva parlato Nena News sottolinenando come si trattasse di un “bottino della presa di Muthanna, base militare irachena, a ovest di Baghdad, occupata dall’Isis già a giugno scorso. All’interno, aveva fatto sapere l’esercito iracheno alle Nazioni Unite, si trovavano anche armi chimiche, circa 2.500 missili. All’epoca la Casa Bianca aveva minimizzato: si tratta di armi vecchie, risalenti agli anni ’80, ormai inutilizzabili perché corrose. A dirlo erano stati i soldati di stanza tra il 2004 e il 2010 in Iraq, aveva fatto sapere a giugno Washington.
Eppure quelle armi sono state utilizzate e si sono dimostrate macabramente efficaci. Ma di chi sono queste armi? Come sono finite nei magazzini di Saddam Hussein? Di fabbricazione statunitense, assemblate in Europa, erano state vendute al leader iracheno da Belgio, Francia e Italia negli anni Ottanta, ovvero durante la lunga guerra tra Iraq e Iran. L’Occidente rifornì Saddam di armi che vennero usate contro i curdi poco tempo dopo”.

Attualmente, almeno stando alle notizie che circolano, si tratterebbe di granate “fatte in casa”, piene di sostanze tossiche utilizzate in ambito industriale e agricolo che devono, però, ancora essere individuate con precisione (pare si tratti di cloro, ma non solo). Quello che è certo è che ISIS è già preparata ed equipaggiata per attacchi con armi chimiche, come ha dichiarato il Comando generale delle Unità di difesa del popolo (YPG).

Tra i gas di ISIS, le dighe e gli incendi dell’esercito turco che distruggono l’ambiente naturale e le coltivazioni del Kurdistan per impiantarvi postazioni militari, gli attacchi dei pasdaran iraniani, la resistenza continua….

“La rivoluzione del Rojava è una rivoluzione delle donne…”

Daesh [ISIS] è un nemico delle donne, anche il significato dell’aggressione a Kobane è che Daesh è nemico delle donne, perché la rivoluzione del Rojava è una rivoluzione delle donne. Per questo continua ad attaccare Kobane.

Queste le parole con cui Nessrin Abdalla, comandante delle YPJ, si è rivolta alla platea bolognese nel suo recente viaggio in alcune città italiane.

Un’affermazione che diventa più chiara se pensiamo al processo messo in piedi contro una studente turca di medicina, volontaria a Kobane, accusata dallo Stato turco di terrorismo per aver aiutato la popolazione kurda contro ISIS. D’altra parte la stessa Turchia – che continua con le sue manovre militari al confine e ogni giorno massacra e arresta donne e uomini della comunità kurda, e tortura ragazzini – vorrebbe condannare a migliaia di anni di galera chi ha manifestato la propria solidarietà a Kobane lo scorso autunno.

Cosa sia accaduto a Kobane nell’ultima offensiva di ISIS ce lo dice non solo il conto dei morti (oltre 200; soprattutto donne e bambini, guarda caso!), ma anche l’accorata e sincera riflessione di una combattente delle YPJ, intervenuta fra le prime dopo l’inizio dell’attacco alla popolazione civile.

In questo quadro, suona ancora più infame la propaganda turca, che sta cercando di far passare l’idea che le YPG/YPJ stiano mettendo in atto una sorta di pulizia etnica (da che pulpito!), appoggiata in questo perfino da alcuni media – in teoria – non mainstream, anche italiani, quale Radio Popolare, malgrado da settimane circolino comunicati delle/dei combattenti di segno opposto. In particolare, qui potete sentire un servizio del radiogiornale di Popolare Network del 28 giugno scorso, dove vengono riportate – malgrado l’uso sovrabbondante del condizionale – delle testimonianze secondo le quali la resistenza kurda avrebbe utilizzato metodi simili a quelli di ISIS (violenze contro le donne comprese!) nella liberazione di Girê Spî (Tel Abyad). Il tutto, ovviamente, senza il minimo accenno critico agli interessi turchi in questa propaganda e al ruolo della Turchia nell’ultima offensiva di ISIS a Kobane.

Ogni commento è superfluo….

Per chi volesse farsi un’idea propria e non addomesticata, segnaliamo questa aggiornatissima rassegna stampa.

Con Kobane nel cuore…

Le Unità di difesa delle donne e le Unità di difesa del popolo hanno ripreso completamente il controllo di Kobane e sono ora concentrate nei villaggi a sud della città.

Le vittime del massacro perpetrato da ISIS a Kobane, principalmente donne e bambini, sarebbero 201, e 249 le persone ferite.

Intanto in questa città, come ad Efrîn, sta arrivando chi fugge dalla pulizia etnica contro la popolazione curda in atto anche a Tebqa, non lontano da Raqqa.

La furia distruttiva di ISIS e la determinazione della popolazione curda e delle/dei combattenti sono ben visibili in queste immagini, scattate a Kobane ai primi dello scorso febbraio, all’indomani della liberazione della città.
Ringraziamo tantissimo Francesca e Nicola per averle condivise con noi.

Aggiornamenti dal Rojava

La giornata di ieri ci ha tenute col fiato sospeso, dopo l’incursione notturna di alcune decine di fondamentalisti dell’ISIS a Kobane, travestiti con altre uniformi (1 e 2) e con le barbe rasate.

Cerchiamo di fare una sintesi della situazione, al di là della miseria informativa dei media nostrani.

Oltre cento civili sarebbero stati uccisi dai militari del “Califfato” a Kobane e nei villaggi circostanti, ma le/i combattenti di YPG/YPJ avrebbero di nuovo sotto controllo la situazione e i combattimenti sarebbero circoscritti ai due edifici ancora occupati da ISIS, mentre 80 civili presi in ostaggio dalle bande di fondamentalisti nel centro città sarebbero stati liberati.

Nel “cuore del Califfato”, cioè a Raqqa, sarebbe in corso da ieri una pulizia etnica contro la popolazione curda, a cui erano state date 72 per lasciare la città, mentre nella provincia di Al-Baraka, sotto controllo dell’ISIS, ragazze yezide costrette alla schiavitù sessuale sarebbero state messe in palio come premi per una gara di memorizzazione del Corano in occasione del Ramadan. Continua a leggere

Le YPJ invitano le donne profughe a tornare nelle aree liberate, offrendo loro supporto umanitario

La comandante delle YPJ invita le donne di Girê Spî e Raqqa a tornare nelle zone liberate

15 giugno 2015

La comandante generale delle YPJ, Newroz Ehmed, ha invitato le donne di Girê Spî e Raqqa a tornare nelle zone liberate, e ha informato che le combattenti delle YPJ sulla linea del fronte hanno preparato delle camere speciali per garantire la sicurezza delle donne e soddisfare i loro bisogni urgenti. Ehmed detto che le YPJ hanno la responsabilità umana e il dovere di liberare le terre dalle bande ISIS.

La comandante generale delle YPJ, Newroz Ehmed, ha rilasciato una dichiarazione invitando le donne di Girê Spî e Raqqa a tornare nelle zone liberate e ad abbattere la crudeltà delle bande di ISIS attraverso la lotta comune e la solidarietà fra le donne curde e quelle arabe, così come fra le donne di diverse provenienze etniche.

Newroz Ehmed ha richiamato l’attenzione sul fatto che l’occupazione di ISIS ha imposto alle donne la schiavitù ed ha preso di mira soprattutto le donne per rafforzare ed estendere il proprio sporco sistema. Ehmed ha aggiunto che solo attraverso l’oppressione delle donne le bande di ISIS potrebbero imporre la schiavitù in tutta la società. Continua a leggere

Fino alla vittoria!

Biharin-630x325La comandante del fronte orientale delle YPJ (Unità di difesa delle donne), Biharin Kendal, alcuni giorni fa aveva detto che le YPJ/YPG avrebbero presto preso il controllo della porta di frontiera di Girê Spî-Tel Abyad (Rojava-Siria) / Akcakale (Turchia) – corridoio di transito dei volontari di ISIS e delle loro armi dalla Turchia verso il quartier generale dei fondamentalisti a Raqqa.

E così è stato: Girê Spî (Tel Abyad, in arabo) è stata liberata.

Biharin Kendal, rilevando le complicità dello stato turco con le bande fondamentaliste dello Stato Islamico che da due anni occupavano Girê Spî e i villaggi circostanti, aveva spiegato:
La liberazione di Tel Abyad, che è un’importante roccaforte di ISIS e interrompe il collegamento tra i cantoni di Kobanê e di Cizîrê, e l’unione dei cantoni impediranno ai gruppi di ISIS di lanciare i loro attacchi da questa regione su entrambi i cantoni. Inoltre, l’occupazione di ISIS in corso a Tel Abyad porta un serio embargo e l’accerchiamento del cantone Kobanê. In considerazione di tutti questi punti, la liberazione di Tel Abyad è di cruciale importanza sia per gli arabi che vivono nella regione, che per le popolazioni che vivono nel cantone di Kobanê e Cizîrê. […] Come abbiamo visto di persona e anche all’inizio attraverso la stampa, lo Stato turco sta fornendo a ISIS ogni tipo si supporto. Se  lo stato turco aiuterà ancora i gruppi di ISIS attraverso il valico di frontiera di Akçakale, dovrà sicuramente renderne conto. Lo stato turco ha dato tutto il sostegno possibile alle bande quando hanno attaccato Kobanê. Questo è stato dimenticato. Continua a leggere