“Ogni donna ha il potenziale per essere forte e libera”

Nel Kurdistan del nord continuano i violentissimi attacchi contro le città che hanno dichiarato l’autogoverno , come è evidente dalle notizie dell’agenzia di stampa ANF.
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L’Unione delle comunità del Kurdistan denuncia la profanazione dei cadaveri di civili e guerriglieri/e i cui pezzi vengono sparsi in giro dalle forze di polizia.

Abbiamo tradotto un articolo dal Guardian che, a dispetto del titolo riduttivo, dà un’idea del legame tra la guerriglia e la popolazione.

Le donne kurde pregano per la pace mentre crescono i timori di una guerra civile in Turchia.
Erdogan lancia attacchi missilistici mentre esplode il conflitto con il PKK dopo due anni di calma

Un gruppo di donne è riunito in alpeggio, un grande gregge di capre sciama intorno a loro. Alcune mescolano grandi vasi di latte per fare lo yogurt, altre preparano il tè. Quando un missile viene lanciato da un avamposto militare turco in lontananza, non alzano nemmeno gli occhi verso quel suono.

“Tutto ciò che vogliamo, che speriamo e per cui preghiamo è la pace” dice Gülsen, 45 anni. “Come donna, la guerra mi riguarda da vicino”. “Ho paura di uscire, perché potrebbe accadermi qualcosa. Se uno dei miei figli ritarda anche solo di mezzora, mi preoccupo terribilmente. Vogliamo disperatamente la pace”.

Un’altra donna annuisce con rabbia. “Non aveva promesso [il presidente turco Recep Tayyip Erdogan] che nessuna madre in questo paese avrebbe mai più dovuto piangere di nuovo? E ora guardate quello che sta facendo: la guerra!”. Continua a leggere

“Ekin Wan è la nostra resistenza nuda”

Avevamo accennato nel post precedente alle torture inflitte ad una combattente kurda da parte delle forze turche.
Malgrado l’immagine del suo corpo straziato sia ormai di pubblico dominio, noi ci rifiutiamo di pubblicarla e preferiamo ricordarla tra le sue montagne e attraverso la voce delle migliaia di donne che, nel Kurdistan turco, stanno insorgendo di fronte all’orrenda doppia profanazione del suo corpo – prima da parte della Turchia e, poi, dal voyeurismo della rete.

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“Ekin Wan è la nostra resistenza nuda”. Questo uno degli sologan con cui le donne di Nusaybin (provincia di Mardin) sono scese in strada per esprimere la rabbia contro l’esposizione del corpo nudo e martoriato della guerrigliera Kevser Eltürk (nome di battaglia Ekin Wan) delle YJA Star, uccisa in uno scontro dalle forze di sicurezza turche nel distretto di Varto (provincia di Muş). Dopo averla uccisa, l’hanno completamente spogliata e trascinata per strada legata ad una corda, per poi abbandonarla nella piazza del paese.
Una fotografia del suo corpo nudo e martoriato ha iniziato a circolare sui social media durante il fine settimana, in origine condivisa probabilmente dalla polizia di Varto. Continua a leggere

Contro la guerra totale di Erdogan: autodifesa e autogoverno

Mentre la Turchia continua ad ammazzare chi cerca di passare il confine con la Siria – ieri due donne e un bambino sono morti crivellati di colpi e altri/e sono rimasti feriti – tortura le guerrigliere o ammazza giovanissimi, non ultimi i due adolescenti che portavano la legna per fare il pane – cercando, poi, di spacciarli per militanti del PKK – emergono sempre più prove dei legami tra il governo di Erdogan e ISIS. Lo testimoniano le parole di un militante di ISIS catturato vivo dalle YPG/YPJ, la scoperta di un tunnel per il rifornimento di armi dalla Turchia allo Stato islamico in Siria, l’invio di fertilizzanti per fabbricare esplosivi.
Stanno anche emergendo le complicità dei funzionari turchi nella scomparsa di oltre 5mila bambini/e profughi rapiti dall’inizio del 2015 per trafficarne gli organi o per sfruttamento sessuale.

770x500cc-silvan-kadnlar3-mansetA fronte di tutto ciò, il modello di autodifesa delle donne in Rojava – ora organizzata anche ad Heseke, liberata di recente – prende piede nel Kurdistan turco, così come il modello di autogoverno: nel distretto di Bulanık di Muşa è stato dichiarato l’autogoverno, così come in altre zone del Kurdistan turco; a Silvan (distretto di Diyarbakır) le donne hanno organizzato la propria autodifesa contro la polizia; le Giovani rivoluzionarie (YDG-K) hanno chiamato tutte donne a scendere in strada ed autodifendersi con le armi; un nuovo gruppo armato di donne – le Forze per la libertà delle donne – ha dichiarato la propria nascita per “eliminare il terrore patriarcale”, come “forza combattente di donne che per millenni hanno sventolato la bandiera della ribellione contro l’ordine fondato sullo sfruttamento”. Giovani e universitari/e si sono uniti alla guerriglia del PKK.

“Che si tratti di donne o bambini, faremo tutto ciò che è necessario”, aveva dichiarato il macellaio Erdogan alcuni anni fa, nel 2006. Ma non aveva messo in conto la risposta di una popolazione che non intende farsi sottomettere, alla quale la rivoluzione in Rojava sta dando rinnovata forza e strumenti di autodeterminazione, nell’anniversario del primo attacco del PKK, nel 1984, che viene oggi festeggiato in tutto il Kurdistan.

Gli attacchi dello stato turco e il loro impatto sulla questione kurda

Gli attacchi dello stato turco e il loro impatto sulla questione kurda

Indice

1. INTRODUZIONE
 – GLI ATTACCHI DELLO STATO TURCO E IL LORO IMPATTO SULLA QUESTIONE CURDA

2. DICHIARAZIONI DEL CONGRESSO NAZIONALE DEL KURDISTAN – KNK

3. DICHIARAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE DEI DIRITTI UMANI (IHD)

4. BILANCIO DELLA GUERRA TURCA CONTRO I CURDI E IN CHE MODO I CIVILI SONO L’OBIETTIVO DELLO STATO TURCO NELLA GUERRA CONTRO I CURDI
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La sepoltura dei morti

La guerra genocida di Erdogan (con l’imprimatur degli Stati Uniti) contro la quale si moltiplicano gli appelli – fra altri, quello degli assiri, di docenti universitari turchi, di giornalisti e scrittori kurdi ma non solo – non si ferma nemmeno di fronte ai cadaveri dei/delle martiri e dei/delle civili. Al ripetuto trattenimento dei cadaveri nei posti di confine – attualmente altri 20 corpi di guerriglieri/e – “su istruzione del Consiglio dei Ministri del governo dell’AKP“, seguono l’accanimento contro le tende in cui si svolgono le veglie funebri, gli arresti delle madri e dei parenti che partecipano alle veglie, gli attacchi contro i cortei funebri.

A Silopi – dove l’assemblea popolare ha dichiarato di non riconoscere più la legittimità dello stato turco, di volersi autogovernare e di cominciare l'”autodifesa democratica” contro tutti gli attacchi – la polizia turca ha sparato contro le centinaia di donne che portavano le proprie condoglianze alla famiglia di Mehtet Hıdır Tanboğa, il diciassettenne ucciso nei giorni scorsi, costringendo tutte ad abbandonare la tenda del lutto ed a rinchiudersi in casa per ore sotto la minaccia delle armi.

Significativo, invece, il fatto che le YPG/YPJ non abbiano dimenticato la pietà per i morti e seppelliscano, oltre ai corpi straziati dalla violenza di ISIS e poi abbandonati, anche i nemici uccisi: “Nonostante i militanti [di ISIS] abbiano portato stupri e massacri fra la popolazione locale e abbiano ridotto un’antica città un tempo vivace a poco più di un cumulo di ruderi e macerie, i/le kurdi/e insistono sul dare ai combattenti di ISIS morti una degna sepoltura, ove possibile” (dal DailyMail). Continua a leggere

Irriducibilmente ribelli…

Hîlava e Cala Temo, sono due giovanissime sorelle di Kobane che, malgrado il ripetuto esilio dalla loro città, non hanno mai smesso di cantare e di sognare il ritorno.

Immagine 2  Rabia Özcan, 63 anni, si oppone ai progetti di devastazione ambientale fermando le ruspe ed affrontando i soldati col suo bastone.

La ribellione delle donne in Turchia e in Kurdistan attraversa tutte le età ed ha infiniti volti e modalità.
Vogliamo raccontarne alcune, che ci confermano come la determinazione delle donne – quando c’è ed è reale – possa muovere le montagne.

In piedi di buon mattino per badare al bestiame e ad altre faccende, alcune donne hanno svegliato l’intero quartiere Zap di Silopi quando si sono accorte che la polizia stava cercando di superare le trincee protettive costruite dalla popolazione del quartiere per fermare le frequenti incursioni poliziesche. Pur non bloccando l’operazione di polizia, il loro allarme l’ha rallentata, dando il tempo alla popolazione di mettersi al sicuro ed organizzare la resistenza.

Una ‘madre senza nome‘ in Turchia urla con rabbia il suo rifiuto di piegarsi al rito sciovinista delle ‘condoglianze alla patria’, di fronte al proprio figlio mandato a morire in una guerra fratricida.

Le donne yezide sopravvissute al genocidio hanno marciato per chilometri a piedi scalzi per ricordare al mondo i/le loro familiari massacrati dai fondamentalisti o ancora nelle mani di ISIS. Si sono, poi, riunite in assemblea sui monti di Shengal per rompere un silenzio secolare prendendo la parola e facendosi protagoniste della trasformazione sociale in atto, con un particolare impegno nel superamento delle lotte interne che indeboliscono la comunità yezida, nel rafforzamento delle strutture comunitarie e nell’organizzazione dell’autodifesa e del training armato per le donne. Continua a leggere

Terrore di stato (parte II)

Uccidere civili a volontà: questi sarebbero gli effetti della Legge di Sicurezza Interna turca – una cosiddetta legge ‘antiterrorismo’, che permette alle forze di sicurezza di “aprire il fuoco direttamente e senza esitazione” – abolita nel 1999 e di nuovo in vigore dallo scorso febbraio, dopo esser stata approvata dal parlamento turco.

Spiega l’avvocata Gülizar Tuncer: “La legge consente alla polizia di aprire il fuoco sulla gente per motivi quali il trasporto cuscinetti a sfera e fionde, il coprirsi il volto o il tentativo di lanciare bottiglie molotov”.

Già nel 1990, in Turchia, le forze della controguerriglia avevano messo in atto una ‘guerra a bassa intensità’ nelle province curde attraverso una strategia di ‘esecuzioni extragiudiziali’ e le migrazioni forzate degli abitanti dei villaggi.

L’uccisione di Günay Özarslan – in un raid all’alba sulla sua casa a Istanbul – e l’esecuzione, da parte delle squadre speciali, di due fratelli e un amico il 31 luglio scorso dopo un’irruzione nella loro casa in provincia di Ağrı, non ne sono che degli esempi.

A questo aggiungiamo una testimonianza da Dersim che riguarda un attentato contro la popolazione domenica 2 agosto, quando una bomba nascosta in un cestino dell’immondizia è esplosa in pieno centro città – fortunatamente senza provocare morti né feriti – in “una delle zone più frequentate di Dersim, soprattutto in questo periodo in cui gli emigrati fanno rientro in città, e periodo in cui la gran parte delle persone preferisce frequentare i locali in città, considerati più sicuri, piuttosto che quelli in periferia o in montagna”. Continua a leggere

Terrore di stato

All’inizio di agosto, a Mosul, militanti di ISIS hanno ucciso 19 donne yezide con l’accusa di essersi rfiutate di partecipare al “jihad sessuale” – cioè per aver resistito agli stupri.
In Turchia il militare Musa Çitli, assassino che sovrintendeva anche agli stupri compiuti dai suoi soldati, è stato promosso da generale di brigata a generale di divisione.
Due facce della stessa medaglia!

I familiari dei combattenti e delle combattenti caduti/e nella lotta contro ISIS in Rojava ed a Shengal, sono finalmente riusciti – dopo un presidio durato 10 giorni  e sostenuto anche da gruppi di donne solidali, sotto il fuoco della polizia – a riavere i cadaveri dei/delle 13 giovani combattenti, tenuti bloccati alla frontiera con una temperatura di 50 gradi, ed a far loro i funerali. Ovviamente le pesanti molestie della polizia turca non sono mancate neppure durante le partecipatissime esequie.

Dopo la carneficina di civili a Zergelê, continuano i massacri. Da ieri notte nel distretto di Silopi, nel Kurdistan turco, la polizia ha messo in atto una vera e propria occupazione militare – con carri armati, cecchini e appiccando il fuoco alle case dopo averne bloccato all’interno gli/le abitanti – per compiere degli arresti. Tra la popolazione, che sta opponendo una strenua resistenza, si contano, ad ora, 3 morti e molti feriti/e.
La polizia continua a massacrare chi cerca di attraversare il confine col il Rojava (1 e 2). Continua a leggere

“Le più antiche ed esperte avversarie dello Stato islamico”

A quasi un anno dalla sua pubblicazione, ci sembra importante proporre la traduzione di questo intervento di Dilar Dirik, che rende ancora più evidenti le complicità, le omertà e gli interessi che hanno determinato l’attuale situazione in Kurdistan.

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Gli ‘altri’ kurdi che combattono lo Stato islamico
Perché i kurdi, che hanno mostrato la resistenza più efficace contro lo Stato islamico, sono etichettati come terroristi?

di Dilar Dirk, 2 settembre 2014

Rojbas! “Buon giorno” al mondo, che per aprire gli occhi di fronte alla realtà massacratrice chiamata “gruppo dello Stato Islamico” ha aspettato che i kurdi yezidi a Sinjar (Shengal) si trovassero di fronte al 73mo massacro nella loro storia!

Lo Stato islamico sta massacrando in Siria da quasi due anni, senza sdegno né azioni globali. Infatti è stato anche sostenuto da diversi governi nel tentativo entusiasta di rovesciare Bashar al-Assad a qualunque costo.

Dopo un feroce attacco su Sinjar in agosto, nel corso del quale migliaia di kurdi yezidi sono stati uccisi, centinaia di donne sono state violentate, rapite e vendute come schiave sessuali, e decine di migliaia sono rimasti bloccati sui monti di Sinjar, senza cibo né acqua, i governi occidentali ora forniscono le armi alle forze peshmerga del Governo regionale del Kurdistan (KRG) nel sud del Kurdistan (Nord Iraq).

Questo non sorprende, dato che il KRG – che è controllato dal governo del Partito democratico del Kurdistan (KDP) – è un partner importante dell’Occidente e della Turchia. Continua a leggere