Shengal è stata liberata definitivamente questa mattina presto!
L’agenzia di stampa Firat News ha seguito passo per passo le operazioni dei/delle combattenti del PKK e delle YJA Star, delle YPG/YPJ e delle unità di autodifesa yezide, nonché i gruppi locali che, dalla montagna, si sono armati per unirsi alla liberazione (1, 2, 3, 4).
Dalle immagini si può vedere che la città è semidistrutta e passerà del tempo prima che la popolazione possa tornare ad abitarvi.
“Come possiamo tornare qui a vivere?” chiede un combattente yezida dopo aver visto che il quartiere in cui abitava è completamente ridotto in macerie.
Prima di tutto va sminata l’intera zona e vanno disattivate tutte le trappole esplosive che ISIS ha lasciato in ogni angolo delle strade e delle case; poi andrà ricostruita la città con la stessa determinazione con cui prosegue la ricostruzione di Kobane.
Intanto Barzani si ostina a ripetere – e con lui gran parte dei media internazionali amici suoi e del suo amico Erdogan – che sono stati i peshmerga da soli a liberare la città.
Come abbiamo già avuto modo di dire, questo stravolgimento della realtà è un prodotto diretto dell’alleanza Erdgan-Barzani, che non ammetterà mai il ruolo avuto dal PKK e dalle YJA Star (di cui faceva parte anche Ekin Van), da oltre un anno a questa parte, nel sostegno concreto alla popolazione yezida, nell’addestramento per la formazione delle forze di autodifesa delle/degli yezidi e, ora, nella liberazione della città dalle bande di fondamentalisti.
D’altra parte, se si vuole continuare a rappresentare le/i militanti del PKK come terroristi non si può far altro che continuare a raccontare frottole e negare le decine di combattenti del PKK morti in questi mesi negli scontri contro le bande fondamentaliste nella zona di Shengal.
Di fronte alle distorsioni di Barzani ÊzîdîPress commenta: “Non è che dovete amare gli altri partiti o le unità di difesa, ma almeno riconoscere i loro sforzi, soprattutto se hanno continuato a combattere per mesi, perdendo dozzine di militanti”.
Qui, la dichiarazione di Egit Civyan, comandante dell’HPG/PKK, sulla liberazione di Shengal e su come sarebbe stato possibile liberare la città già lo scorso dicembre, se non ci fossero stati di mezzo gli interessi politici di alcuni gruppi.
Non dimentichiamo che la principale preoccupazione del duo Erdogan-Barzani è che anche nella Shengal liberata venga dichiarato l’autogoverno e che dunque la città sia autogestita dalla popolazione yezida che la abita da lungo tempo, anziché sottostare al governo del Kurdistan iracheno – come dice chiaramente la Federazione delle società yezide, comunicando la notizia della liberazione delle città.
Staremo a vedere…
In Siria, le YPG/YPJ e i loro alleati procedono a grandi passi verso la liberazione di Heseke.
La Turchia, furibonda per tutti questi risultati, si sta organizzando per fare in modo che il cantone di Kobane e quello di Afrin rimangano separati. E da stasera anche la città di Nusaybin sarà sotto coprifuoco, la città di Ercis è stata bombardata dagli elicotteri e a Silvan continua il genocidio, ma continua anche l’autodifesa – con le donne in prima linea!
In questo “bel” quadretto, la Turchia si prepara ad ospitare il G20 il 15-16 novembre.
A proposito di Shengal, abbiamo tradotto un articolo da Al Jazeera che fa un quadro della situazione immediatamente precedente la liberazione della città.
Sinjar è la nuova Kobane?
di Tanya Goudsouzian e Lara Fatah
Nel IX secolo, la piana di Sinjar fu sede di importanti scoperte matematiche di studiosi persiani, come Muhammad al-Khwarizmi (o: Algoritmi). Nel Medioevo era popolata da assiri, arabi, kurdi e persiani. Fino a poco tempo fa è stata la sede di gran parte degli yezidi kurdi dell’Iraq.
[…] Sinjar, una città della storica provincia di Ninive, nel nord dell’Iraq, ha occupato per la prima volta le prime pagine dei giornali nell’agosto 2014, quando i combattenti di ISIL hanno cacciato fuori i peshmerga kurdi e hanno massacrato tra i 500 e i 2.000 civili yezidi.
Il “Massacro di Sinjar” ha determinato un esodo di massa degli yezidi kurdi dalla zona, e ha incentivato il rapimento delle donne yezide come schiave sessuali per i militanti di ISIL. Cinque mesi più tardi le forze kurde hanno tentato di entrare a Sinjar, ma la loro avanzata è stata contrastata da ISIL.
La sconfitta kurda ha inferto un duro colpo al governo regionale del Kurdistan (KRG), ed ha avvelenato gli affari interkurdi. I partiti kurdi rivali si sono reciprocamente attribuiti la colpa per mesi, con il Partito Democratico del Kurdistan (KDP) accusato di cedere alle pressioni della Turchia rispetto al ruolo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e della sua affiliata siriana, l’Unità di difesa del popolo (YPG), nella lotta contro ISIL.
Battaglia decisiva?
[…] Non diversamente da Kobane, città siriana di confine, Sinjar è ora rappresentata come la battaglia decisiva nella campagna a guida USA contro ISIL, combattuta sul terreno da decine di migliaia di forze kurde. I media internazionali si sono concentrati sulla città assediata e sui suoi residenti, senza sviscerare a fondo che importanza strategica comportino effettivamente la suo conquista o la sua perdita.
Lo scorso anno, di questi tempi, il significato di Kobane veniva ampiamente dibattuto. Molti sostenevano che valesse la pena di liberarla solo per il suo valore simbolico, mentre altri suggerivano che lasciarla nelle mani di ISIL avrebbe accelerato la caduta dell’autonomia di fatto che i kurdi siriani avevano raggiunto alcuni mesi prima.
Un anno dopo, sembra che Kobane non fosse altro che un diversivo.
Secondo Michael Cavalieri, Lafer Fellow presso l’Istituto per la Politica del Vicino Oriente di Washington, Sinjar ha un rilevante valore strategico perché è una vitale arteria di comunicazione tra le due capitali di ISIL in Iraq e Siria.
“La zona da Sinjar a Baaj del deserto Jazira è la principale linea di comunicazione militare, politica ed economica tra le due capitali di ISIL – Raqqa e Mosul. Se questo corridoio viene occupato dalle forze kurde, il califfato è spaccato in due”, ha spiegato.
Contendere l’opinione pubblica
Se Sinjar nella guerra contro ISIL è una battaglia decisiva, è altrettanto nodale nella competizione per conquistare l’opinione pubblica kurda. I critici del KRG controllato dal KDP suggeriscono che l’operazione a Sinjar non sia altro che uno spettacolo messo in scena per incrementare la loro popolarità messa a dura prova. Da quando, lo scorso mercoledì, è iniziata l’operazione militare, le autorità kurde irachene hanno usato i social media per diffonderne un resoconto dettagliato.
Eppure, la maggior parte dei kurdi sa bene che l’operazione iniziale per liberare Sinjar è stata effettivamente combattuta dalle YPG kurdo-siriane. Nelle strade vi è un crescente fastidio nei confronti delle manovre politiche per acquisire credibilità, con la masse ormai stanche della propaganda di tutti i partiti che viene spacciata sui canali di informazione locali.
La frustrazione per la mancanza di un efficace coordinamento tra le varie forze kurde ha superato ogni misura la scorsa settimana quando, in un discorso a Washington DC, Lahur Talabani, capo del servizio di intelligence Zanyari, ha criticato aspramente il Consiglio di sicurezza kurdo (KSC) per essere troppo di parte e favorire le iniziative del KDP – accusa che il KSC ha negato, controbattendo che lo stesso Talabani si stesse comportando in maniera partigiana.
Mentre permane l’impasse politica tra i vari partiti kurdi, sembra che con “Operazione Sinjar libera” i partiti stiano lavorando insieme – almeno sul piano della sicurezza. È la prima volta che in Iraq il PUK, il KDP, le YPG e il PKK hanno coordinato tutti insieme un attacco contro ISIL. Ogni successo ottenuto in questa operazione sarà un successo kurdo, non di parte.
Una fonte vicina al comando delle unità dell’Unione patriottica del Kurdistan (PUK) a Sinjar ha dichiarato ad Al Jazeera: “Questa è la prima volta che tutte le forze si sono veramente coordinate insieme in battaglia. Accogliamo con favore il cambiamento: significa che siamo una forza molto più efficace ed efficiente perché scacciamo ISIL e spacchiamo in due il califfato”. […]