Per ricordare le dodici combattenti delle YPJ uccise dagli infami bombardamenti turchi in Rojava lo scorso 25 aprile (qui il servizio di Radio Blackout, qui i volti delle combattenti e dei combattienti uccisi e qui alcune significative immagini), pubblichiamo la traduzione di un bell’intervento di Dilar Dirik scritto in occasione dell’8 marzo di quest’anno.
Ne approfittiamo anche per segnalare il corteo regionale che si terrà a Firenze sabato 6 maggio, a fianco della resistenza kurda e del Rojava sotto attacco [ATTENZIONE: a causa delle avverse condizioni meteo, il corteo regionale toscano è stato rimandato a sabato 13 maggio; appuntamento a Firenze alle 14.30 in piazza S. Maria Novella].
Il pacifismo – o passivismo? – femminista (Dilar Dirik)
Domani è la giornata internazionale delle donne. Di fronte all’ondata sempre crescente di femminicidi, violenza sessuale e cultura dello stupro, dobbiamo affrontare la questione dell’autodifesa delle donne.
Quando alcune donne bianche celebrano la non violenza dei cortei delle donne contro Trump, per poi posare di fronte alla macchina fotografica con i poliziotti, quando la violenza per mano di quest’ultimi colpisce nello specifico soprattutto persone di colore, quando i nazi-punchers (chi risponde con un pugno a un nazista) vengono accusati di essere uguali ai fascisti, quando le femministe in situazioni di relativa sicurezza accusano di militarismo le donne militanti del Medioriente che devono far fronte alla schiavitù sessuale dell’Isis… dobbiamo problematizzare il concetto liberale di non violenza che lascia da parte i sistemi di potere e i meccanismi di violenza strutturale che vi si intersecano.
Quando le femministe si aggrappano dogmaticamente a un pacifismo (o passivismo?) che appartiene a una classe e a una razza, e demonizzano la rabbia violenta contro il sistema, allora si tirano fuori da un dibattito più che necessario su forme di autodifesa alternative il cui obiettivo e la cui estetica sostengano delle politiche di liberazione. In un’era globale di femminicidi, violenza sessuale e cultura dello stupro, chi può permettersi di non pensare all’autodifesa delle donne?
Il femminismo ha giocato un ruolo importante nei movimenti contro la guerra e ha ottenuto importanti vittorie politiche nella costruzione della pace. La critica femminista al militarismo quale strumento patriarcale rende comprensibile il rifiuto della partecipazione delle donne agli eserciti di stato come fattore di empowerment. Ma il rifiuto inappellabile da parte delle femministe liberali nei confronti della violenza agita dalle donne, quale che sia l’obiettivo, non riesce a operare un distinguo di natura qualitativa tra il militarismo statalista, colonialista, imperialista, interventista e l’autodifesa necessaria e legittima. Continua a leggere