Domande, riflessioni e spunti su etica, pratiche e orizzonti di liberazione

Ad alcuni mesi dalla nascita del percorso dakobaneanoi, abbiamo pensato di incontrarci sia per fare un bilancio di questi mesi di attività sia, soprattutto, per discutere tra di noi la continuazione del progetto, con la prospettiva di creare anche pratiche e percorsi di formazione e confronto sullo stile delle accademie kurde.

Prima di incontrarci avevamo stabilito alcune domande a cui avremmo voluto dare risposta nonché una lista – che riportiamo qui in fondo – di alcuni dei testi di riferimento del progetto rivoluzionario del Rojava che ci avrebbero potuto fornire un metodo per la messa a fuoco delle questioni.

In due giorni di intense discussioni le questioni poste hanno preso la forma di domande, più che di risposte.

L’utilizzo, infatti, del metodo di critica/autocritica ampiamente utilizzato in Kurdistan ci ha sollecitate ad interrogarci tanto sull’orizzonte ampio quanto sull’etica che accompagnano il nostro agire politico, sul rapporto tra l’unicità di ciascuna di noi e la dimensione collettiva e sociale in cui ci muoviamo, e su come andare verso quell’orizzonte ampio con “passi sicuri”, senza lasciarci alle spalle nulla di vago o non affrontato ed avendo chiaro cosa conservare e cosa buttare delle metodologie che hanno accompagnato, negli anni, il nostro agire femminista. Così come ci siamo anche interrogate sulle cause che hanno portato gran parte del movimento delle donne su posizionamenti vittimistici facendo perdere quello slancio e quella radicalità che aveva negli anni ’70 e smantellando, al contempo, pezzo per pezzo le conquiste ottenute e/o alimentando un approccio “consumistico” della politica, del tipo usa-e-getta, che rende difficoltosa la continuità di un percorso politico collettivo – una impasse per uscire dalla quale urge una pratica di onesta autocritica da parte di chi, come noi, ha fatto propria la prospettiva postvittimistica. Continua a leggere

Al fianco di Figen Şahin, contro gli stupratori in divisa

Una donna di 25 anni, Figen Şahin, ieri ha testimoniato che la polizia turca l’ha torturata sessualmente mentre era in stato di arresto e ha minacciato di condividere le foto dei suoi genitali sulla sua pagina Facebook dopo averla costretta a spogliarsi ed averla massacrata.
“Otto o dieci poliziotti mi ha portata fuori dalla macchina in una zona senza telecamere – ha detto Figen – Quattro poliziotti mi hanno aperto le gambe e hanno cominciato a darmi calci nei genitali e alle gambe. Nel frattempo, due poliziotti continuavano a tirarmi calci al seno; questo mi ha causato contrazioni al cuore e sono stata ricoverata in ospedale”.

La polizia ha dichiarato di averla arrestata ad Adana perché si era coperta il viso con una kefiah. In realtà Figen ha spiegato di usare la sciarpa che aveva intorno al collo per proteggersi il viso durante il lavoro nei campi.

Avevamo anche già parlato di Musa Çitil, il comandante militare turco noto per il suo ricorrente uso della tortura sessuale contro le donne kurde, promosso e inviato a Diyarbakır – promozione alle quale l’assemblea delle donne di Diyarbakır ha reagito con un’iniziativa pubblica in cui sono stati letti tutti i casi di violenza che lo riguardavano. Continua a leggere

“Onore è non vergognarsi della resistenza”

“Il Movimento delle Donne Kurde ha insegnato alle donne che l’onore non può essere ridotto al loro corpo, l’onore è lotta, l’onore è non vergognarsi della resistenza”, così si conclude un intervento di Ruken Isik sulla violenza contro le kurde perpetrata da decenni dallo stato turco e di cui quotidianamente emergono nuovi casi (1, 2).

Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan visits Egypt Non sorprende che lo scorso novembre Erdogan, intervenendo ad un convegno su “Donne e giustizia” organizzato dall’associazione Donne e democrazia – di cui, guarda caso, la figlia è vicepresidente – in occasione della Giornata internazionale delle violenza contro le donne, si sia ben guardato dal parlare delle crescenti violenze e dei femminicidi in Turchia (che la guerra sta contribuendo ad aumentare) ed abbia invece esordito dicendo che “La nostra religione ha definito il posto delle donne nella società: la maternità. Porre donne e uomini sullo stesso piano è contro natura”. Supportato, per altro, dalla figlia Sumeyye (sì, proprio quella sulla quale si era inventato un complotto per prendere più voti…), secondo la quale “dare quote maggiori di eredità agli uomini è normale, corretto e giusto”. Continua a leggere

Dal genocidio alla resistenza: le donne yezide contrattaccano

A fronte di tutte le menzogne che passano sui media, ancora una volta Dilar Dirik ritrae una realtà che è importante conoscere. Per questo pubblichiamo volentieri questo suo intervento, tradotto a cura nostra da TeleSur.

Dal genocidio alla resistenza: le donne yezide contrattaccano
di Dilar Dirik

Dopo aver subito un genocidio traumatico, le donne yezide sui monti di Sinjar mobilitano la propria autonoma resistenza armata e politica con la filosofia del PKK.

SHENGAL – Il vecchio detto curdo “Non abbiamo amici, se non le montagne” è diventato più importante che mai quando, il 3 agosto 2014, il gruppo omicida Stato Islamico ha lanciato quello che viene indicato come il 73mo massacro di yezidi, attaccando la città di Sinjar (in curdo: Shengal), massacrando migliaia di persone, stuprando e rapendo le donne per venderle come schiave sessuali. Diecimila yezidi e yezide sono fuggiti sui monti di Shengal in una marcia della morte durante la quale sono morti di fame, di sete e di stanchezza – in particolare i bambini. Quest’anno lo stesso giorno, le/gli yezidi hanno marciato di nuovo sui monti di Shengal. Ma questa volta con una marcia di protesta per giurare che nulla sarà mai più di nuovo lo stesso.

L’anno scorso, i peshmerga kurdi iracheni del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) hanno promesso al popolo che avrebbero garantito la sicurezza di Shengal, ma sono scappati senza preavviso quando il gruppo Stato Islamico ha attaccato, senza nemmeno lasciare armi alla gente per difendersi. Invece, sono state la guerriglia del PKK, così come le Unità di difesa del popolo, o YPG, e le loro brigate femminili, le YPJ, venute dal Rojava che, nonostante avessero i kalashnikov e soltanto una manciata di combattenti, hanno aperto un corridoio per il Rojava, salvando 10mila persone.

Per un anno intero, le donne yezide sono state descritte dai media come inermi vittime di stupro. Innumerevoli interviste chiedevano loro ripetutamente quanto spesso fossero state stuprate e vendute, facendo rivivere spietatamente il trauma per amore delle notizie sensazionalistiche. Le yezide sono state presentate come l’incarnazione della donna che piange, che si arrende passivamente, la vittima finale del gruppo Stato Islamico, la bandiera bianca femminile per il patriarcato. Inoltre, le più selvagge rappresentazioni orientalistiche hanno grottescamente ridotto una delle più antiche religioni al mondo sopravvissute ad un nuovo campo esotico ancora da esplorare. Continua a leggere

La resistenza delle donne contro uno stato assetato di sangue ha infiniti volti e forme, ma non ha età

È risaputo che lo stato turco abbia una lunga tradizione di umiliazioni sessuali, violenze e stupri contro le donne, dall’epoca del genocidio della minoranza armena.

Un paio di anni fa un articolo di Meral Duzgun intitolato Turchia: una storia di violenze sessuali aveva analizzato l’uso dello stupro come strumento di tortura nei confronti delle prigioniere politiche curde.

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Quella stessa feroce tradizione la vediamo messa in atto anche oggi. Un’adolescente arrestata nella provincia di Van ha raccontato di essere stata minacciata, sotto tortura, di venire consegnata nelle mani di ISIS se non avesse parlato. Ad Elazığ sono state arrestate dieci donne che protestavano contro il divieto di manifestare contro la guerra e contro la politiche belliche sul corpo delle donne.

akpkatil-599x275 A Varto, dove è stato straziato ed umiliato il corpo della guerrigliera Ekin Van, le donne si sono ritrovate da varie città per renderle onore e ricoprire con un telo bianco il luogo in cui il suo cadavere oltraggiato è stato abbandonato; nel resto della Turchia migliaia di donne hanno manifestato contro la guerra di Erdogan, ribadendo che “la nudità di Ekin ancora una volta ha rivelato la politica patriarcale e dello stupro dello stato turco”. Continua a leggere

AKP-ISIS: uniti nei massacri e nelle devastazioni

CMw9tgFWEAAY3cCMentre polizia ed esercito turco radono al suolo le città kurde all’urlo di “Allah u Akbar” e incendiano i villaggi come negli anni ’90, a Qamishlo, in Rojava, un attentato suicida di ISIS – che a Mosul ha lapidato cinque donne che non si sono conformate agli ordini, rifiutando di indossare il velo – ha ucciso 10 persone e ne ha ferite più di 50.

Se ancora ci fossero dubbi sui legami tra gli stupratori e tagliagole di ISIS e il partito di Erdogan
… e il silenzio complice dei media internazionali.

La popolazione kurda, però, non si lascia intimorire e si moltiplicano le zone che dichiarano l’autogoverno, fino al quartiere Gazi di Istanbul.

“Ogni donna ha il potenziale per essere forte e libera”

Nel Kurdistan del nord continuano i violentissimi attacchi contro le città che hanno dichiarato l’autogoverno , come è evidente dalle notizie dell’agenzia di stampa ANF.
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L’Unione delle comunità del Kurdistan denuncia la profanazione dei cadaveri di civili e guerriglieri/e i cui pezzi vengono sparsi in giro dalle forze di polizia.

Abbiamo tradotto un articolo dal Guardian che, a dispetto del titolo riduttivo, dà un’idea del legame tra la guerriglia e la popolazione.

Le donne kurde pregano per la pace mentre crescono i timori di una guerra civile in Turchia.
Erdogan lancia attacchi missilistici mentre esplode il conflitto con il PKK dopo due anni di calma

Un gruppo di donne è riunito in alpeggio, un grande gregge di capre sciama intorno a loro. Alcune mescolano grandi vasi di latte per fare lo yogurt, altre preparano il tè. Quando un missile viene lanciato da un avamposto militare turco in lontananza, non alzano nemmeno gli occhi verso quel suono.

“Tutto ciò che vogliamo, che speriamo e per cui preghiamo è la pace” dice Gülsen, 45 anni. “Come donna, la guerra mi riguarda da vicino”. “Ho paura di uscire, perché potrebbe accadermi qualcosa. Se uno dei miei figli ritarda anche solo di mezzora, mi preoccupo terribilmente. Vogliamo disperatamente la pace”.

Un’altra donna annuisce con rabbia. “Non aveva promesso [il presidente turco Recep Tayyip Erdogan] che nessuna madre in questo paese avrebbe mai più dovuto piangere di nuovo? E ora guardate quello che sta facendo: la guerra!”. Continua a leggere

“Ekin Wan è la nostra resistenza nuda”

Avevamo accennato nel post precedente alle torture inflitte ad una combattente kurda da parte delle forze turche.
Malgrado l’immagine del suo corpo straziato sia ormai di pubblico dominio, noi ci rifiutiamo di pubblicarla e preferiamo ricordarla tra le sue montagne e attraverso la voce delle migliaia di donne che, nel Kurdistan turco, stanno insorgendo di fronte all’orrenda doppia profanazione del suo corpo – prima da parte della Turchia e, poi, dal voyeurismo della rete.

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“Ekin Wan è la nostra resistenza nuda”. Questo uno degli sologan con cui le donne di Nusaybin (provincia di Mardin) sono scese in strada per esprimere la rabbia contro l’esposizione del corpo nudo e martoriato della guerrigliera Kevser Eltürk (nome di battaglia Ekin Wan) delle YJA Star, uccisa in uno scontro dalle forze di sicurezza turche nel distretto di Varto (provincia di Muş). Dopo averla uccisa, l’hanno completamente spogliata e trascinata per strada legata ad una corda, per poi abbandonarla nella piazza del paese.
Una fotografia del suo corpo nudo e martoriato ha iniziato a circolare sui social media durante il fine settimana, in origine condivisa probabilmente dalla polizia di Varto. Continua a leggere

Contro la guerra totale di Erdogan: autodifesa e autogoverno

Mentre la Turchia continua ad ammazzare chi cerca di passare il confine con la Siria – ieri due donne e un bambino sono morti crivellati di colpi e altri/e sono rimasti feriti – tortura le guerrigliere o ammazza giovanissimi, non ultimi i due adolescenti che portavano la legna per fare il pane – cercando, poi, di spacciarli per militanti del PKK – emergono sempre più prove dei legami tra il governo di Erdogan e ISIS. Lo testimoniano le parole di un militante di ISIS catturato vivo dalle YPG/YPJ, la scoperta di un tunnel per il rifornimento di armi dalla Turchia allo Stato islamico in Siria, l’invio di fertilizzanti per fabbricare esplosivi.
Stanno anche emergendo le complicità dei funzionari turchi nella scomparsa di oltre 5mila bambini/e profughi rapiti dall’inizio del 2015 per trafficarne gli organi o per sfruttamento sessuale.

770x500cc-silvan-kadnlar3-mansetA fronte di tutto ciò, il modello di autodifesa delle donne in Rojava – ora organizzata anche ad Heseke, liberata di recente – prende piede nel Kurdistan turco, così come il modello di autogoverno: nel distretto di Bulanık di Muşa è stato dichiarato l’autogoverno, così come in altre zone del Kurdistan turco; a Silvan (distretto di Diyarbakır) le donne hanno organizzato la propria autodifesa contro la polizia; le Giovani rivoluzionarie (YDG-K) hanno chiamato tutte donne a scendere in strada ed autodifendersi con le armi; un nuovo gruppo armato di donne – le Forze per la libertà delle donne – ha dichiarato la propria nascita per “eliminare il terrore patriarcale”, come “forza combattente di donne che per millenni hanno sventolato la bandiera della ribellione contro l’ordine fondato sullo sfruttamento”. Giovani e universitari/e si sono uniti alla guerriglia del PKK.

“Che si tratti di donne o bambini, faremo tutto ciò che è necessario”, aveva dichiarato il macellaio Erdogan alcuni anni fa, nel 2006. Ma non aveva messo in conto la risposta di una popolazione che non intende farsi sottomettere, alla quale la rivoluzione in Rojava sta dando rinnovata forza e strumenti di autodeterminazione, nell’anniversario del primo attacco del PKK, nel 1984, che viene oggi festeggiato in tutto il Kurdistan.

Gli attacchi dello stato turco e il loro impatto sulla questione kurda

Gli attacchi dello stato turco e il loro impatto sulla questione kurda

Indice

1. INTRODUZIONE
 – GLI ATTACCHI DELLO STATO TURCO E IL LORO IMPATTO SULLA QUESTIONE CURDA

2. DICHIARAZIONI DEL CONGRESSO NAZIONALE DEL KURDISTAN – KNK

3. DICHIARAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE DEI DIRITTI UMANI (IHD)

4. BILANCIO DELLA GUERRA TURCA CONTRO I CURDI E IN CHE MODO I CIVILI SONO L’OBIETTIVO DELLO STATO TURCO NELLA GUERRA CONTRO I CURDI
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