14 novembre: assemblea collettivo donne Rete Kurdistan – Livorno

Segnaliamo da ReteKurdistan

kobane-copy-630x325Il 25 novembre in tutto il mondo le donne scendono in piazza per lottare contro il femminicidio.Chi commette violenza contro le donne non è il solo responsabile del femminicidio, ma è tutto il sistema patriarcale, che attraverso il fascismo istituzionale legittima il controllo sul corpo delle donne e sopprime tutte le forme di autodeterminazione femminile.

Nel mondo migliaia di donne portano avanti lotte di autodeterminazione per distruggere quei sistemi sociali, economici, culturali e politici che non riconoscono la soggettività politica delle donne e ne vogliono disciplinare i corpi e le vite come oggetti.

Tra queste si distinguono le compagne curde, che coraggiosamente da oltre due anni respingono daesh e difendono il sistema democratico del Rojava, che hanno contribuito a costruire, nel quale la loro soggettività politica è piena e il loro contributo alla costruzione di un sistema veramente democratico è fondamentale.

L’autonomia democratica è un sistema politico elaborato dalle donne insieme agli uomini in Kurdistan come nuovo modello di società libera dal patrircato e cogestita da uomini e donne grazie a una lotta iniziata quarant’anni fa con Sakine Cansiz e le sue compagne e martiri morte per difenderlo come Arin Mirkan simbolo della resistenza di Kobane.

Il movimento delle donne curdo e il collettivo delle donne di rete kurdistan invita tutte le compagne femministe e lgbtqi a scendere in piazza per manifestare insieme il nostro appoggio alla resistenza femminista curda e lottare insieme contro tutti i fascismi, per l’autodeterminazione delle donne ed una società libera da ogni forma di patriarcato.

Per costruire insieme questa giornata di lotta vi invitiamo il 14 novembre a Livorno alla riunione del collettivo delle donne di Rete Kurdistan, l’appuntamento è alle 11,00 in stazione centrale per poi raggiungere insieme lo spazio dell’ assemblea, che le compagne di Livorno ci indicheranno al più presto.

La resistenza continua…

Schermata 2015-11-03 a 17.33.12 Come prevedibile, la Turchia di Erdogan non ha perso nemmeno un minuto e ha subito ripreso – se mai l’avesse interrotta – la sua politica di genocidio in Kurdistan: coprifuoco, ragazzi ammazzati, attacchi in Rojava, bombardamenti nelle zone della guerriglia in Iraq, e via dicendo.

L’Unione delle comunità del Kurdistan (KCK), parlando del “colpo di stato politico” iniziato mesi fa, ha realisticamente detto che “Quello che si riflette come il successo elettorale dell’AKP è di fatto una presa del potere”, e che il partito di Erdogan aumenterà la sua guerra contro il Movimento di liberazione kurdo e le forze democratiche in Turchia. Il KCK ha anche ricordato che il portavoce dell’AKP, Ömer Çelik, subito dopo le elezioni, ha detto che questa guerra è l’unico articolo del programma politico del nuovo governo, mentre tutte le altre questioni serviranno da accessorio complementare a questa politica di guerra.
Il KCK ha ribadito che il Movimento di liberazione kurdo risponderà agli attacchi e alle imposizioni di una guerra contro le forze della guerriglia kurda e la popolazione.

Questo “colpo di stato politico” viene salutato dai governi europei con un “pragmatico sollievo”, spiegava ieri candidamente un quotidiano italiano che, commentando i risultati elettorali in Turchia, titolava: Il sospiro di sollievo dell’Europa.
Per lo meno ha scritto pane al pane. Continua a leggere

Una settimana intensa: aggiornamenti dal Kurdistan e iniziative

Erdogan – furibondo dopo la dichiarazione di adesione al confederalismo democratico della città di Girê Spî (Tel Abyad) – dice che la Turchia non lascerà che i kurdi “si impadroniscano” del nord della Siria, perché “questo costituisce una minaccia per noi”. E così, dalla scorsa notte l’esercito turco e ISIS hanno iniziato ad attaccare i dintorni di Kobane dopo che, la notte del 24 ottobre, l’esercito aveva cominciato a bombardare ripetutamente con granate le postazioni delle YPG lungo la linea di confine di Girê Spî, tra il Rojava e la Turchia.
D’altronde, come ha spiegato a Firat News un membro di ISIS catturato dalle YPG/YPJ, tanto i colloqui tra ISIS e l’intelligence turca (MIT), quanto la consegna di armi e munizioni da parte dello stato turco a ISIS, avvenivano proprio in quel territorio – al confine tra Tel Abyad e il distretto di Akçakale (provincia di Urfa, Turchia). Inoltre, lì sostavano le ambulanze turche in attesa di portare i membri di ISIS feriti negli ospedali di Urfa e Antep, e da lì passavano i camion carichi di munizioni che, nascoste sotto i rifornimenti di cibo, lo stato turco inviava ad ISIS attraverso il MIT. Sempre secondo la testimonianza del membro di ISIS, la maggior parte di questi camion veniva inviata a nome di un’organizzazione di soccorso chiamata IHH.

Intanto si allunga la lista delle persone ammazzate dalla polizia turca. Ieri sera a Istanbul è morta Dilek Doğan, una giovane donna a cui la polizia aveva sparato durante una perquisizione nella sua casa, lo scorso 18 ottobre. Poche ore dopo, a Silopi è morto un ragazzo di 16 anni, Mustafa Aşlığ, dopo esser stato gravemente ferito alla testa da un proiettile sparato dalla polizia.
Per avere un’idea della ferocia devastatrice dello stato turco e la determinazione della popolazione kurda, invitiamo a vedere il report documentario Le otto giornate di Cizre.

Schermata 2015-10-26 a 17.11.41Mentre si prepara la stretta finale per liberare Shengal (Sinjar) e fare in modo che la popolazione yezida possa rientrare dalla montagna prima dell’arrivo dell’inverno, i/le giovani comunisti del KGÖ chiamano i loro coetanei e le coetanee alla lotta armata: “Rifiutiamo questo ordine e tutte le sue istituzioni”, hanno dichiarato, invitando i/le giovani ad unirsi alla loro lotta contro le persecuzioni, la guerra, il fascismo, il sessismo e la disuguaglianza. Continua a leggere

Dal Rojava a noi

Pubblichiamo la sbobinatura di un incontro tenutosi nel maggio scorso a Milano con una compagna italiana – che era da poco tornata da un viaggio nel cantone di Cizre (Rojava-Siria) e nei campi profughi autogestiti in Iraq – e una compagna kurda che risiede in Europa da anni.

L’incontro è stato organizzato dal gruppo che gestisce questo blog e l’obiettivo era di approfondire con le due compagne il funzionamento concreto del sistema del confederalismo democratico in atto nel Rojava (Kurdistan Siriano) e capire meglio come le donne, sia della “società civile” che quelle che hanno scelto di entrare nelle Unità di difesa del popolo (YPJ), stiano portando avanti la loro rivoluzione e loro pratica separata e di autodifesa.

L’intento era e rimane quello di prendere ciò che ci risuona di questa lotta e di questa rivoluzione di genere, per poter agire concretamente nella nostra realtà, facendo tesoro sia dell’elaborazione teorica che della pratica.

Clicca qui per leggere il testo e fare il download del file

Stragi, “suicidi” e morti sospette: le scie di sangue in Turchia

Mentre proseguono le reazioni al report di Amnesty International – segnaliamo in particolare le repliche di YPG/YPJ e di Karim Franceschi, volontario italiano nelle Unità di difesa del popolo in Rojava – che sarebbe stato scritto nel quartier generale della coalizione siriana, nei social network kurdi (ma non solo) riecheggia la domanda Chi ha “suicidato” Jacky Sutton nell’aeroporto di Istanbul, ad un anno dall’omicidio di Serena Shim?

Ricordiamo che Serena Shim in diretta televisiva aveva affermato di avere le immagini dei miliziani di ISIS che entravano in territorio siriano, nascosti nei camion di organizzazioni umanitarie e del programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite… Continua a leggere

Sulle bugie e i silenzi di Amnesty

Schermata 2015-10-16 a 11.52.11 Schermata 2015-10-16 a 11.55.17Anche l’assemblea delle tribù arabe del Rojava, in una conferenza stampa congiunta, ha accusato Amnesty di distorcere la verità, basandosi su personaggi di fantasia.

Il portavoce dell’assemblea, Eyad El-Dexîl Mihemed, ha sottolineato che “Amnesty International ha fondato il suo rapporto su fonti che vogliono eliminare l’amore e la convivenza tra tutti gli ambienti sociali della regione per sostituirli con le ostilità”. Ha poi aggiunto che “I popoli arabi, cristiani, curdi, e yezidi nella nostra regione vivono insieme in pace e fiducia reciproca da secoli. Condividono il dolore e la gioia, e tutti hanno i loro diritti”.

L’assemblea delle tribù arabe si era prima confrontata con la popolazione della regione riguardo alle accuse formulate da Amnesty. Accuse che la popolazione stessa ha confutato.

Di fronte al moltiplicarsi delle smentite, vien da chiedersi quale sia il rapporto tra le accuse infami contro le YPG/YPJ presentate da Amnesty nel suo rapporto, e il silenzio assordante della medesima organizzazione sulle torture che la polizia turca sta infliggendo a giovani donne e uomini kurdi per ottenere false confessioni sulla strage di Suruç…

Fatti un giro in Rojava…

La pubblicazione ieri, a tre giorni dalla strage di Ankara, di un rapporto di Amnesty International su presunti “crimini di guerra” delle YPG nelle zone liberate da ISIS sta scatenendo molte reazioni nei social network kurdi.

A quel rapporto ha voluto rispondere anche un volontario britannico delle YPG, che si trovava in Rojava proprio nei mesi in cui sarebbero avvenuti tali fatti. Abbiamo tradotto da Kurdish Question la sua lettera aperta…

Una lettera aperta a Salil Shetty – segretario generale di Amnesty International

Caro Salil,

Scrivo per protestare contro la pubblicazione di una relazione della tua organizzazione intitolata ‘Non avevamo altro posto in cui andare – Spostamenti forzati e demolizioni nel nord della Siria’.

Come operatore umanitario britannico, che ha trascorso 5 mesi e mezzo con le YPG in Rojava, sono assolutamente stupefatto dal vostro rapporto di 32 pagine pubblicato nell’ottobre 2015.

Mi sento costretto a scrivere questa lettera a nome delle centinaia di volontari stranieri che hanno aderito alle YPG e alle YPJ, i quali non stanno solo combattendo in prima linea, ma stanno lavorando sodo insieme ai kurdi negli ospedali e nei campi profughi.

Quando ero in quel Paese, ho avuto pieno accesso a tutta la regione, compresa la linea del fronte. Di conseguenza, io sarei stato presente a molti dei fatti e nei luoghi citati nel rapporto. Non ho mai visto alcuna evidenza di danni intenzionali o di sgomberi forzati.

Volevo solo affrontare rapidamente i due punti principali del vostro rapporto: Continua a leggere

Genealogia delle recenti stragi di Stato in Turchia

A due giorni dalla strage di Ankara si moltiplicano le testimonianze secondo le quali la polizia è apparsa all’improvviso, subito dopo l’esplosione, ed ha cominciato a sparare sulle persone ferite e sulla folla. Al punto che c’è chi dice che la polizia stessa ha provocato più vittime della stessa esplosione, e non solo perché ha fatto ritardare l’intervento delle ambulanze.

561ba2b469201e8c65b59fb1 CRHDmqbUYAAizoWNon pago del massacro di Ankara, lo Stato turco continua il genocidio: ad Amed ha ucciso una bimba di 9 anni, Helin Şen; ad Adana ha sparato alla testa di un bimbetto di 3 anni e mezzo, Tevriz Dora, mentre, in braccio alla madre, tornava con la famiglia dalla manifestazione per la strage di Ankara.

Continuano, inoltre, i bombardamenti dei cimiteri dei guerriglieri e delle guerrigliere e sulle zone della guerriglia, malgrado il PKK abbia dichiarato un cessate il fuoco unilaterale.

Viareggio, 11 ottobre

Viareggio, 11 ottobre

10300809_789634787829256_3023728828108977457_n10 ottobre, strage di Ankara: 128 morti, 516 feriti

Si tratta del terzo massacro di massa dall’inizio del processo elettorale.
Esso esprime la strategia dell’AKP per restare al potere, ma non solo: è anche un feroce attacco all’autogoverno che, dal Rojava, sta prendendo piede nel Kurdistan del Nord.

Ma rivediamo alcuni sintetici passaggi temporali, di cui abbiamo parlato in vari articoli raccolti in questo blog…

5 giugno: la strategia stragista della Turchia prende di mira il comizio finale dell’HDP a Diyarbakir/Amed: 4 morti, centinaia e centinaia di feriti, di cui molti con le gambe mutilate. Continua a leggere

Perché non si parla più delle donne yezide?

Da agosto 2014 e per alcune settimane, le prime pagine dei giornali riportavano in continuazione le notizie sui rapimenti, la costrizione alla schiavitù sessuale e domestica delle donne yezide da parte dei mercenari di ISIS. Oggi è, invece, diventato assai raro trovarne notizia, in particolare sui media italiani, a parte qualche articolo voyeuristico che insiste molto sulle modalità di stupro e tortura da parte di ISIS.

Sicuramente il fatto che la via di salvezza per la popolazione yezida di Shengal sia stata aperta, nell’agosto 2014, dal PKK e da YPG/YPJ – mentre i peshmerga di Barzani se la davano a gambe, abbandonando le armi nelle mani dei fondamentalisti – non fa il gioco del macellaio turco che, nel suo rinnovato e feroce massacro della popolazione nel Kurdistan del nord (113 morti negli ultimi 78 giorni…) col pretesto del “terrorismo”, ha cominciato anche a decapitare i kurdi, esattamente come ISIS, e ad usare armi chimiche e bombe al fosforo.

E sicuramente anche il fatto che il PKK e le YJA Star stiano ancora combattendo contro ISIS, in questi giorni, nella zona di Shengal insieme alle Unità yezide di autodifesa delle donne e del popolo (YPJ-Shengal e YBŞ), aumenta questo silenzio assordante. Continua a leggere

L’autogestione nei campi profughi kurdi

Innanzitutto esprimiamo piena solidarietà alle compagne dell’agenzia stampa JINHA, al cui sito web lo stato turco ha deciso di bloccare l’accesso. Un divieto a cui le donne di JINHA hanno risposto: “Quando abbiamo cominciato, quattro anni fa, come prima agenzia di stampa delle donne in Turchia, abbiamo detto ‘scriviamo senza preoccuparci di quello che gli uomini potrebbero dire’. Scriviamo anche senza preoccuparci di ciò che potrebbe dire lo Stato maschilista e continueremo a scrivere la verità”.

Qui, di seguito, la nostra traduzione dell’ultimo articolo di Dilar Dirik, pubblicato su Telesur.

Dimentica le Nazioni Unite! Incontra i rifugiati che in Kurdistan si autodeterminano
di Dilar Dirik (7 ottobre 2015)

Senza entrare nei disumanizzanti e brutali dibattiti che dominano la cosiddetta crisi dei rifugiati, andiamo a vedere una storia diversa di rifugiati. Una storia di autonomia, agentività, autodeterminazione e potenziamneto.
Tre campi profughi in Kurdistan illustrano questa alternativa radicale allo status quo.

Il nostro viaggio comincia a Makhmour, a 40 minuti di strada verso sud dalla capitale kurdo-irachena, Erbil.
Ancora oggi, gli abitanti di questo campo profughi definiscono la propria esistenza “un miracolo”. È stato creato negli anni ’90, dopo che l’esercito turco aveva distrutto i villaggi kurdi, costringendo 100.000 persone a sfuggire ai massacri e all’assimilazione forzata.
Lontano dal sistema statunitense di tifoseria di Erbil, decorato coi cartelloni delle società turche, entrando nel campo di Makhmour, protetto dai guerriglieri e dalle guerrigliere del PKK, si sente un’atmosfera completamente diversa: una vita comunitaria. Continua a leggere