Tra guerra e rivoluzione

CThh7cKWUAAKYjySilvan, nel distretto di Diarbakir, al nono giorno di coprifuoco è ormai completamente isolata. Gli attacchi delle forze armate turche si susseguono e aumenta il numero dei morti, come si può leggere anche nell’appello alla mobilitazione di UIKI.
Testimoni sostengono che membri di ISIS stiano partecipando ai massacri, al fianco delle forze turche.
Schermata 2015-11-11 a 16.18.11“Resistiamo alle atrocità dello stato e resisteremo fino alla liberazione”, dichiarano le giovani partigiane di Silvan.
Per seguire gli aggiornamenti: ‪#SilvanUnderAttack‬ e ‪#silvan

Non paga, la Turchia continua a minare la frontiera con il Rojava, ad attaccare la zona di Kobane e ad armare i gruppi fondamentalisti.

Schermata 2015-11-11 a 17.17.02Se questo non bastasse, l’alleanza tra Erdogan e il governo di Barzani nel Kurdistan iracheno cerca di dare i suoi frutti, spingendo per escludere i/le combattenti del PKK e delle YPG/YPJ – che combattono al fianco delle unità di autodifesa yezide – dalle operazioni per liberare Shengal dalle bande di ISIS. La popolazione yezida, però, non è affatto d’accordo, anche perché ricorda bene quanto i soldati di Barzani se la siano data a gambe davanti all’avanzata di ISIS nel 2014 e chi, invece, l’abbia aiutata a salvarsi dal massacro.

La vera posta in gioco è, ancora una volta, l’autogoverno, che ora anche la popolazione di Shengal vorrebbe praticare, una volta che la zona sarà liberata dalle bande fondamentaliste. E la liberazione definitiva di Shengal sembra ormai imminente!

Dal 5 novembre scorso, il KCK ha dichiarato la fine del cessate il fuoco unilaterale, visto che la politica di guerra dell’AKP prosegue ininterrottamente.

Segnaliamo il tour di serate informative su La resistenza curda tra guerra e rivoluzione che incomincia stasera.
Per ingrandire la locandina, cliccate sull’immagine. Continua a leggere

La trappola di Erdogan

Per comprendere meglio il ruolo giocato dal report di Amnesty in chiave anti-kurda e, soprattutto, quale tranello stia cercando di tendere la Turchia colpendo le postazioni delle YPG in Rojava, abbiamo tradotto le parti salienti di un articolo di Fehim Tastekin, pubblicato originariamente su Al-Monitor e poi ripreso da Kurdish Question.

Schermata 2015-11-01 a 15.41.30[…] Di recente, le forze armate turche (TSK) hanno colpito le Unità di difesa popolare (YPG). Le YPG hanno rilasciato una breve dichiarazione riconoscendo che l’esercito turco aveva attaccato le loro postazioni sul confine, usando fucili A-4 dalle 19 alle 21 del 24 ottobre e mitragliatrici MG-3 il 25 ottobre, dalle 2 alle 4 del mattino. Le TSK hanno elencato, come al solito, tutte le loro azioni sul loro sito web, ma non hanno menzionato questi particolari attacchi. Il governo non ha aperto bocca fino alla notte del 26 ottobre, quando il primo ministro Ahmet Davutoglu durante una trasmissione televisiva ha affermato: “Noi avevamo detto sia alla Russia che agli Stati Uniti che il PYD non avrebbe attraversato il fiume Eufrate verso nord. Abbiamo colpito il PYD due volte”.

I media filogovernativi hanno riportato una diversa versione dei fatti. Secondo il Daily Sabah “Gli aerei turchi hanno colpito due barche delle YPG che tentavano di infiltrarsi ad ovest dell’Eufrate. I militanti sulla barca erano stati invitati ad allontanarsi”. Sabah ha anche riportato che le YPG stavano cercando di infiltrarsi nella zona da Azaz est a Jarablus, che la Turchia considera una zona di sicurezza.

Coloro che hanno riportato questa notizia erano apparentemente inconsapevole di certi fatti. Le YPG e i loro alleati arabi avevano preso Tel Abyad in giugno. L’asse Jarablus-Raqqa si trova tra Kobanê e la linea Azaz-Marea, che la Turchia ha dichiarato una linea rossa. In altre parole, secondo quanto riportato dal Daily Sabah, l’area in questione è controllata da ISIS. Se, come riportato, i/le combattenti delle YPG avevano attraversato l’Eufrate verso ovest, non si stavano dirigendo verso la zona di sicurezza in Turchia, ma verso Jarablus, controllata da ISIS. Se gli aerei turchi hanno davvero colpito le barche delle YPG nel fiume, ciò significherebbe che la Turchia stava impedendo che le unità delle YPG raggiungessero le posizioni di ISIS, stavano, quindi, difendendo indirettamente ISIS. Continua a leggere

1 novembre: mobilitazione internazionale per Kobane

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Dopo aver ammesso gli attacchi dei giorni scorsi contro le postazioni delle YPG/YPJ nel nord della Siria, Erdogan ha dichiarato che farà “tutto il necessario” per combattere l’autonomia kurda in Rojava – ed è chiaro cosa intenda. Per legittimarsi ulteriormente ha fatto riferimento anche al controverso report di Amnesty International (di cui abbiamo parlato qui, qui e qui, ma si veda anche il commento di Martina Bianchi), confermando, in sostanza la funzionalità di quel rapporto alle politiche anti-kurde dello stato turco.

Ma intanto dalle città europee all’America latina, dall’Australia agli Stati Uniti, si moltiplicano le mobilitazioni per Kobane.

Nella pagina #GlobalRally4Kobane potete farvene un’idea.

Questo il comunicato diffuso dal cantone di Kobane:

Invito a una Giornata di Solidarietà Internazionale con Kobanê 1°Novembre 2015

Kobanê e il Rojava fin dalla nascita della libertà e della giustizia sul loro suolo, il 19 luglio 2012,hanno affrontato numerose campagne e offensive militari. Da allora, gli estremisti hanno posto sotto assedio tutta quest’area geografica che aspira a costruirsi una nuova vita e un nuovo approccio aperto alla diversità socio-culturale, religiosa ed etnica.

Tuttavia, la volontà del popolo del Rojava e la forza del desiderio di una nuova era e di una nuova amministrazione sono state invincibili, sconfiggendo le campagne degli estremisti con una strenua resistenza che ha avuto il suo culmine nella storica resistenza di Kobanê.
Questa resistenza ha segnato l’inizio della fine del mito di ISIL e della sua capacità di controllare qualsiasi paese o città e ha dimostrato al mondo che l’unione tra la volontà del popolo e quella delle istituzioni locali in un’area geografica è sufficiente per sconfiggere il terrorismo e di conseguenza per salvaguardare l’umanità e la pace.

Ma il prezzo di questa vittoria è stato alto e gli effetti sulla nostra vita quotidiana sono ancora visibili. Kobanê, la capitale della resistenza, è in rovina e il 70% delle case sono state distrutte mentre la maggior parte dei suoi abitanti sono emigrati e sparsi in ogni angolo del mondo. Ciononostante la volontà, il desiderio e la determinazione del popolo di tornare alle proprie case e di far rivivere la propria città sono molto forti e questo li trasforma nella prima linea dell’umanità contro il terrorismo globale. Continua a leggere

Una settimana intensa: aggiornamenti dal Kurdistan e iniziative

Erdogan – furibondo dopo la dichiarazione di adesione al confederalismo democratico della città di Girê Spî (Tel Abyad) – dice che la Turchia non lascerà che i kurdi “si impadroniscano” del nord della Siria, perché “questo costituisce una minaccia per noi”. E così, dalla scorsa notte l’esercito turco e ISIS hanno iniziato ad attaccare i dintorni di Kobane dopo che, la notte del 24 ottobre, l’esercito aveva cominciato a bombardare ripetutamente con granate le postazioni delle YPG lungo la linea di confine di Girê Spî, tra il Rojava e la Turchia.
D’altronde, come ha spiegato a Firat News un membro di ISIS catturato dalle YPG/YPJ, tanto i colloqui tra ISIS e l’intelligence turca (MIT), quanto la consegna di armi e munizioni da parte dello stato turco a ISIS, avvenivano proprio in quel territorio – al confine tra Tel Abyad e il distretto di Akçakale (provincia di Urfa, Turchia). Inoltre, lì sostavano le ambulanze turche in attesa di portare i membri di ISIS feriti negli ospedali di Urfa e Antep, e da lì passavano i camion carichi di munizioni che, nascoste sotto i rifornimenti di cibo, lo stato turco inviava ad ISIS attraverso il MIT. Sempre secondo la testimonianza del membro di ISIS, la maggior parte di questi camion veniva inviata a nome di un’organizzazione di soccorso chiamata IHH.

Intanto si allunga la lista delle persone ammazzate dalla polizia turca. Ieri sera a Istanbul è morta Dilek Doğan, una giovane donna a cui la polizia aveva sparato durante una perquisizione nella sua casa, lo scorso 18 ottobre. Poche ore dopo, a Silopi è morto un ragazzo di 16 anni, Mustafa Aşlığ, dopo esser stato gravemente ferito alla testa da un proiettile sparato dalla polizia.
Per avere un’idea della ferocia devastatrice dello stato turco e la determinazione della popolazione kurda, invitiamo a vedere il report documentario Le otto giornate di Cizre.

Schermata 2015-10-26 a 17.11.41Mentre si prepara la stretta finale per liberare Shengal (Sinjar) e fare in modo che la popolazione yezida possa rientrare dalla montagna prima dell’arrivo dell’inverno, i/le giovani comunisti del KGÖ chiamano i loro coetanei e le coetanee alla lotta armata: “Rifiutiamo questo ordine e tutte le sue istituzioni”, hanno dichiarato, invitando i/le giovani ad unirsi alla loro lotta contro le persecuzioni, la guerra, il fascismo, il sessismo e la disuguaglianza. Continua a leggere

Dal Rojava a noi

Pubblichiamo la sbobinatura di un incontro tenutosi nel maggio scorso a Milano con una compagna italiana – che era da poco tornata da un viaggio nel cantone di Cizre (Rojava-Siria) e nei campi profughi autogestiti in Iraq – e una compagna kurda che risiede in Europa da anni.

L’incontro è stato organizzato dal gruppo che gestisce questo blog e l’obiettivo era di approfondire con le due compagne il funzionamento concreto del sistema del confederalismo democratico in atto nel Rojava (Kurdistan Siriano) e capire meglio come le donne, sia della “società civile” che quelle che hanno scelto di entrare nelle Unità di difesa del popolo (YPJ), stiano portando avanti la loro rivoluzione e loro pratica separata e di autodifesa.

L’intento era e rimane quello di prendere ciò che ci risuona di questa lotta e di questa rivoluzione di genere, per poter agire concretamente nella nostra realtà, facendo tesoro sia dell’elaborazione teorica che della pratica.

Clicca qui per leggere il testo e fare il download del file

Le YPG rispondono ad Amnesty International

In un’intervista su vari argomenti, Sipan Hemo, comandante generale delle YPG, ha commentato il rapporto di Amnesty International.

Abbiamo visto il rapporto di Amnesty International. Posso dirti che i tempi e la formulazione di questo rapporto sono un po’ sospetti.
Nel momento in cui stiamo formando una nuova alleanza con le forze pro-democrazia della Siria, e ci prepariamo a scatenare una grande guerra contro ISIS, viene pubblicato questo rapporto.

Il rapporto arriva subito dopo che le forze della coalizione ci stanno dando un aiuto significativo. Difficile pensare che si tratti soltanto di una coincidenza.

[…] Ora, voglio essere chiaro: abbiamo liberato circa 1500 villaggi arabi. Alcuni di questi villaggi sono diventati zone di guerra tra noi e ISIS. In alcuni villaggi le battaglie sono proseguite per giorni.
Non sto dicendo che quei villaggi non abbiano subito danni. Ma non sono più di 4 o 5 villaggi.
Abbiamo liberato 1500 villaggi arabi e la gente lì ora ci vive in pace.
Se fosse stato vero, perché questi 1.500 villaggi sono ancora in piedi?

A parte questo, ci sono arabi che sono stati portati in Rojava dal regime baathista e si sono stabiliti in tutto il territorio dei kurdi. Questi arabi anche a Jazira vivono rispettati. Se avessimo l’intenzione di mandar via gli arabi, lo avremmo fatto prima con questi.

Penso che chi è scontento per le sconfitte di ISIS abbia qualche ruolo in questo rapporto, perché abbiamo avuto successo contro ISIS. E tutto il mondo vede la nostra efficacia e il successo su questo gruppo terroristico. Lo abbiamo dimostrato praticamente, anche liberando la regione del Rojava. Continua a leggere

Genealogia delle recenti stragi di Stato in Turchia

A due giorni dalla strage di Ankara si moltiplicano le testimonianze secondo le quali la polizia è apparsa all’improvviso, subito dopo l’esplosione, ed ha cominciato a sparare sulle persone ferite e sulla folla. Al punto che c’è chi dice che la polizia stessa ha provocato più vittime della stessa esplosione, e non solo perché ha fatto ritardare l’intervento delle ambulanze.

561ba2b469201e8c65b59fb1 CRHDmqbUYAAizoWNon pago del massacro di Ankara, lo Stato turco continua il genocidio: ad Amed ha ucciso una bimba di 9 anni, Helin Şen; ad Adana ha sparato alla testa di un bimbetto di 3 anni e mezzo, Tevriz Dora, mentre, in braccio alla madre, tornava con la famiglia dalla manifestazione per la strage di Ankara.

Continuano, inoltre, i bombardamenti dei cimiteri dei guerriglieri e delle guerrigliere e sulle zone della guerriglia, malgrado il PKK abbia dichiarato un cessate il fuoco unilaterale.

Viareggio, 11 ottobre

Viareggio, 11 ottobre

10300809_789634787829256_3023728828108977457_n10 ottobre, strage di Ankara: 128 morti, 516 feriti

Si tratta del terzo massacro di massa dall’inizio del processo elettorale.
Esso esprime la strategia dell’AKP per restare al potere, ma non solo: è anche un feroce attacco all’autogoverno che, dal Rojava, sta prendendo piede nel Kurdistan del Nord.

Ma rivediamo alcuni sintetici passaggi temporali, di cui abbiamo parlato in vari articoli raccolti in questo blog…

5 giugno: la strategia stragista della Turchia prende di mira il comizio finale dell’HDP a Diyarbakir/Amed: 4 morti, centinaia e centinaia di feriti, di cui molti con le gambe mutilate. Continua a leggere

Iniziativa agli uffici della Turkish Airlines, Aeroporto di Caselle (Torino)

Segnaliamo una iniziativa che si è svolta venerdì scorso a Torino.
In fondo a questo post trovate anche il dossier sulla seconda fase della ricostruzione di Kobane.

Iniziativa agli uffici della Turkish Airlines, Aeroporto di Caselle, Torino (Italy)
Venerdì 25 settembre 2015, un gruppo di solidali con la resistenza kurda ha fatto irruzione nella sede della compagnia di bandiera turca, occupando l’ufficio, leggendo un comunicato (vedi sotto, in più lingue, e guarda il video) e poi manifestando in aeroporto con slogan, striscioni e volantini.

foto.areoporto.2 – Italiano –

Ci troviamo negli uffici della Turkish Airlines di Torino. Con questa irruzione vogliamo rompere i silenzi e le menzogne che coprono la guerra scatenata dalla Turchia di Erdogan contro il popolo curdo. Come negli anni Novanta, ai bombardamenti di villaggi e città, incendi, torture, arresti di massa, si vanno aggiungendo aggressioni razziste contro civili curdi.
È inutile e ipocrita commuoversi di fronte alle foto dei profughi o dei bambini in fuga dalla guerra, mentre i “nostri” Stati democratici continuano a sostenere i responsabili di tali guerre: la Turchia innanzitutto, amica dell’Occidente, partner commerciale, membro della Nato, e intanto sostenitrice dello Stato Islamico e massacratrice dei curdi e dei dissidenti.
Ecco perché siamo qui. Perché gli interessi della Turchia in Europa non devono più poter vivere in pace. E perché i nostri fratelli e sorelle che resistono sui monti del Kurdistan devono sapere che non sono soli.
Gli Stati nazione e la globalizzazione capitalista hanno fallito. L’Impero si sta sgretolando. È tempo di rivoluzione. È tempo di organizzarsi. In Kurdistan hanno cominciato. È per questo che hanno tutti contro. È per questo che noi stiamo dalla loro parte.
Per l’unione dei popoli in lotta! Dalle Alpi al Kurdistan!
Viva la solidarietà internazionale!
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Contro il colonialismo, contro il suprematismo

Lo stato turco continua la sua opera di distruzione e, dopo i cimiteri dei martiri, ha cominciato a radere al suolo anche le scuole dove si insegna in lingua kurda.

Ma la popolazione kurda non si fa intimorire e, malgrado i massacri e le devastazioni, a Cizre si sono costituite 140 comuni locali per portare avanti l’autogoverno e rispondere alle necessità della popolazione “senza bisogno di alcuna istituzione dello stato”, a partire da istruzione e sanità.

Il Comitato per l’istruzione del KCK (Unione delle comunità del Kurdistan) ha chiamato l’intera popolazione a boicottare le scuole turche, per opporsi al colonialismo e al genocidio culturale – quella “sintesi di politiche e pratiche di assimilazione, genocidio, saccheggio, negazione e annientamento che è iniziata con l’Impero Ottomano e prosegue, oggi, con la repubblica turca”.

E intanto la Federazione democratica europea alevita, in un comunicato, ha invitato tutti e tutte a “stare insieme con una sola voce, un solo cuore e spalla a spalla contro questa persecuzione” e a continuare la resistenza “contro la crudeltà dell’AKP e del Palazzo con lo spirito di Hüseyin, Kobanê, Shengal, Varto e Cizre”.

Sul suprematismo di quelli che noi chiamiamo i ‘turisti delle rivoluzioni’ ha preso parola Dilar Dirik, con un breve ma efficace intervento sulla sua pagina facebook, che molto volentieri abbiamo tradotto e pubblichiamo. Continua a leggere

Bloccata la carovana per Kobane e il genocidio continua…

kobane Alla Carovana internazionale è stato negato il passaggio alla frontiera per portare gli aiuti umanitari a Kobane, come racconta questo stralcio del report pubblicato su Retekurdistan:

ACCESSO NEGATO AL GATE DI MURSITPINAR – KOBANE
Nel pomeriggio, assieme ad una delegazione locale, ci dirigiamo verso la frontiera, sui furgoni medicinali e apparecchiature sanitarie destinate agli ospedali di Kobane, quaderni e pastelli colorati per le scuole della città. Per varie settimane la municipalità di Suruc ha richiesto al governo centrale di aprire la frontiera per lasciar passare la carovana. I quattro pullman si dirigono verso il confine, sotto lo stretto controllo delle forze di polizia locale. A circa cinquecento metri dal gate incontriamo un posto di blocco: blindati e barricate mobili ci impediscono di proseguire. Decidiamo di tentare una deviazione, ma tutti gli accessi al confine sono sorvegliati. “La Turchia ci ha negato il permesso di passare” ci dicono i compagni curdi. “Il governo minaccia di chiudere la frontiera e di impedire il passaggio ad ogni tipo di merce verso il Rojava.” Il posto di frontiera di Suruc è aperto solo tre giorni a settimana, una nostra forzatura potrebbe comportare un blocco a tempo indeterminato dei rifornimenti verso Kobane. Il ricatto del governo è palese e gioca sulla vita di decine di migliaia di persone lungo il confine. Ripieghiamo nel vicino villaggio di Mesher, un gruppo di case sotto il sole battente, luogo strategico della resistenza, dal punto di vista sia logistico che politico. Le staffette partite dall’Italia hanno fatto spesso base qui. Continua a leggere