Donne curde e rivoluzione: oltre l’autodifesa

da Retekurdistan

Donne curde e rivoluzione: oltre l’autodifesa

22 febbraio 2015

Tanto si è detto e scritto in questi ultimi quattro mesi sulle donne curde, in virtù di quello che accadeva a Kobane, in Rojava (Kurdistan siriano). Si è dato spazio soprattutto alle immagini delle donne curde, donne che solo in pochi conoscevano, per evidenziare la loro giovane età, la loro bellezza e il fatto che avessero imbracciato un’arma. Ma questo non è che l’aspetto più superficiale di quanto sta accadendo in quella parte di Medio Oriente. Sì, perchè le donne curde lì stanno facendo una rivoluzione, ma in tutti gli ambiti della società. E l’aspetto militare non è che uno fra questi, e non sarebbe nemmeno il più importante se non fosse per il particolare momento, che vede la necessità dell’autodifesa dagli attacchi che il popolo curdo subisce con rinnovato vigore da ISIS come prima da altri gruppi, per esempio Al Nusra, affiliato a Al Qaeda, ma anche da parte del regime di Assad.

Dietro i volti delle nostre donne, dunque, c’è di più. Il loro coraggio e la loro determinazione hanno aperto un varco che deve lasciare spazio a un’analisi più profonda del processo cominciato diversi anni fa con la formazione di un partito delle donne e delle unità femminili di difesa del popolo in seno al movimento curdo, soprattutto in Nord Kurdistan (Turchia).

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Faccia a faccia con le combattenti di Kobane: “Noi, madri di tutta l’umanità”

Da Rete Kurdistan

Cinque combattenti curde raccontano la loro esperienza nella difesa della città di Kobane, rivelando sogni e rinunce, raccontando la brutalità della guerra contro le truppe del Califfato, i loro sacrifici e le loro speranze.

Kobane è libera, ma deve fare i conti con la ricostruzione. L’80% della città è distrutta e su 525,000 abitanti, solo 25,000 sono rimasti sul territorio, gli altri sono dispersi tra i campi profughi della Turchia e degli altri paesi limitrofi. Per aiutarli a tornare a casa è necessario bonificare la città e ricostruirla.

Per questo il governatore Enwer Muslim ha rivolto un appello alla comunità internazionale, affinché vengano inviati gli aiuti necessari (le coordinate per gli aiuti sono: Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia Onlus. IBAN: IT63P0335901600100000132226. Causale: Ricostruzione Kobane). Nel frattempo, i tre volontari italiani che dalla Sicilia hanno raggiunto il Rojava, dopo diversi giorni di attesa nel territorio di Kobane, sono riusciti a incontrare le donne curde combattenti, i cui volti rimbalzano nei media di tutto il mondo. Di seguito, riportiamo la conversazione svolta nella base operativa delle YPJ con cinque combattenti:

Perché hai fatto questa scelta di entrare nelle YPJ? 

Perché le donne sono sofferenti. Vediamo la sofferenza delle donne non solo qui ma anche nei vostri Paesi. Noi lottiamo per tutte le donne del mondo. Io in particolare sono nata in Germania, sono stata in giro per l’Europa e in uno di questi Paesi ho fatto giorni di reclusione in prigione per motivi politici. Poi ho deciso di venire qui in Kurdistan e anche le mie amiche sono tutte venute qui. Ho letto gli scritti di Öcalan e dopo ciò ho assunto uno sguardo più globale riguardo la situazione politica in generale e delle donne in particolare. Continua a leggere

Rompere con la logica binaria e guerrafondaia dell’aut-aut

Rullano i tamburi di guerra. “L’Isis è alle porte dell’Italia”, ci dicono, e ci rendono visibile la loro ‘barbarie’, per farci dimenticare – o sostenere – la barbarie delle guerre dell’Occidente neoliberista e dei corpi della popolazione civile dilaniati dai suoi bombardamenti nelle guerre ‘umanitarie’ e ‘infinite’.

Sia chiaro: per noi i militari dello ‘stato islamico’ sono fascisti, schiavisti e stupratori e la loro visione delle donne ci richiama quella vigente nel ventennio mussoliniano, successivamente riproposta dai nostalgici fascisti e dagli integralisti cattolici nostrani.

Non diciamo questo come ‘necessaria premessa’ per poi poter dire quello che pensiamo, ma perché sia chiaro che non vogliamo farci intrappolare nel dispositivo della iper-rappresentazione della brutalità altrui che mira ad oscurare le brutalità che le donne vivono quotidianamente anche in Italia. Una quotidianità fatta di sfruttamento, umiliazioni e violenze contro le donne, femminicidi. Continua a leggere

“JIN, JÎYAN, AZADΔ: CHE LE DONNE VIVANO IN LIBERTÀ!

Il movimento delle donne kurde assicura l’organizzazione delle donne sulla base della loro propria ideologia, della loro propria politica, della loro propria autodeterminazione.

L’assunzione di tale coscienza, di tale qualità, di tale potere da parte di tutte le donne del mondo è di per se stessa una rivoluzione.

Il pensiero e la pratica delle donne curde nella rivoluzione del Rojava

Da settembre 2014 le Unità di difesa popolare (YPG) e le Unità di difesa delle donne (YPJ) hanno condotto una resistenza epica contro l’ultima ondata di attacchi sferrati dallo “Stato Islamico” nella zona del Kurdistan situata nel nord della Siria, il Rojava, e contro l’assedio al cantone centrale di Kobane. Dopo 135 giorni di assedio, il 31 gennaio 2015 la gente di Kobane ha liberato la città dallo “Stato Islamico”[1].

La rivoluzione del Rojava è stata una lotta di popolo sin dall’inizio. A differenza di altre rivolte non è stata cooptata da chicchessia ed è andata avanti affidandosi alle proprie forze. Infatti nel 2011, sin dall’insurrezione contro il regime di Bashar Assad, i curdi siriani non si sono schierati né con il governo di Assad né con alcuna delle forze dell’opposizione, islamista o laica, ma hanno praticato una “terza via”, organizzandosi non solo attraverso le proprie unità di autodifesa del popolo per la difesa militare del territorio (YPG e YPJ), ma anche con vere e proprie strutture di autogoverno[2].

Il processo di trasformazione sociale e politica che è in atto nel Rojava non ha l’obiettivo di costruire un nuovo stato, ma di creare un sistema alternativo al paradigma globale capitalista e maschilista dello stato-nazione, indivduando i fondamenti teorici e filosofici cui si ispira nella prospettiva del confederalismo democratico, elaborata dalla fine degni anni ‘90 ad oggi da Abdullah Ocalan, uno dei fondatori del Pkk (Partito dei lavoratori curdi). Il confederalismo democratico è basato su parità di genere, ecologia e democrazia dal basso ed è messo in pratica attraverso i consigli popolari[3].

Il protagonismo delle combattenti curde si è indiscutibilmente imposto all’attenzione mediatica dopo le coraggiose imprese riportate dalle YPJ nella resistenza a Kobane. Tuttavia le immagini riportate dai media occidentali sono esclusivamente quelle di belle e giovani donne in armi, con una rappresentazione volta ad alimentare l’immaginario esotico ed erotico della donna orientale ribelle ma che tralascia di affrontare la radicalità delle questioni universali che la lotta delle donne curde pone e omette completamente la narrazione del percorso rivoluzionario che hanno intrapreso. E’ questo percorso che vogliamo raccontare, individuandone i nessi con la nostra pratica femminista e facendo tesoro della loro esperienza. Continua a leggere