Difendere Afrin!

Il 17 febbraio a Roma si terrà un manifestazione contro i bombardamenti criminali del cantone di Afrin da parte del governo turco e dei suoi affiliati jihadisti. Invitiamo tutte a partecipare allo spezzone femminista del corteo.

Qui alcuni link a cui potete trovare informazioni utili per avere un quadro femminista della situazione:

Appello della TJK-E
Appello di Asya Abdullah
Distruzione dei siti millenari che rappresentano la cultura delle donne
Dilar Dirik su Afrin
Dichiarazione YPJ su Avesta Xabur
Dichiarazione delle internazionali nelle YPJ

Come avrete notato, da alcuni mesi purtroppo non riusciamo a tenere aggiornato il blog, per cui abbiamo deciso di sospenderlo e di utilizzare i soldi rimasti in cassa per sostenere il progetto della Casa delle donne di Kobane.

Per ulteriori aggiornamenti, rimandiamo ai siti di UIKI, ReteKurdistan e ANF.

Un caro saluto e buona lotta a tutte, con Kobane nel cuore.

Esortare al coraggio intellettuale: la gineologia

Volentieri riprendiamo da UIKI questo breve testo metodologico sulla gineologia.

I metodi della Gineologia

Il metodo come concetto descrive il modo più rapido per raggiungere un risultato in relazione agli obiettivi, alle abitudini e agli approcci più prudenti. La sua determinazione, anche dopo lunghi tentativi, è indispensabile per i rispettivi sostenitori.

“Un metodo di ricerca privo della realtà femminile, una lotta per la parità e la libertà che non metta le donne al centro non può raggiungere la verità, l’uguaglianza e la libertà“ 
(Abdullah Öcalan)

La mente del maschio dominante ha sviluppato i suoi metodi in tutte le aree collegate con la vita e li ha proposti come le uniche valide verità. Per la Gineologia, questa è una delle questioni principali: rompere tale posizione statica e raggiungere una capacità interpretativa e una ricchezza metodologiche. La Gineologia determinerà i suoi metodi riferendosi alla flessibilità della natura della donna, alla sua energia fluida che non si adatta a forme statiche, alla trasformabilità propria della biologia femminile e all’intelligenza emotiva delle donne.

La Gineologia vuole esaminare le sovrapposizioni vita-donna, natura-donna, natura sociale-donna, per comprendere i modi in cui la cultura creata dalla donna si è riflessa nella società storica. Vuole guardare in modo olistico alle ragioni, alle fonti e ai risultati delle rotture nelle definizioni storiche delle donne e alle trasformazioni delle istituzioni, delle strutture e dei concetti che le circondano.
In sintesi:
 la Gineologia vuole mostrare quali metodi sono alla base dei tentativi di dare vita al sistema schiavistico nella geografia del Medio Oriente, vita per lungo tempo costruita intorno alle donne e alla resistenza. Se questo è il caso, come per tutte le scienze sociali, allora anche la Gineologia è interessata al metodo. Continua a leggere

Prostituzione forzata per le profughe dei campi gestiti dallo Stato turco

Avevamo già avuto occasione di scrivere, in questo blog, dei traffici loschi che avvengono nei campi profughi governativi AFAD, centri di attività di ISIS in Turchia. Avevamo anche già scritto a proposito delle profughe ridotte a schiave sessuali per le forze speciali turche. Un paio di giorni fa è apparsa su Firat News la notizia delle prostituzione forzata a cui son costrette le profughe siriane, anche giovanissime, nel campi AFAD.

Donne nei campi AFAD in balia di bande che sfruttano la prostituzione
È emerso che donne siriane che vivono nei campi profughi AFAD (Presidenza per la Gestione dei Disastri e delle Emergenze) gestiti dallo Stato turco a Elbeyli e Islahiye subiscono violenza da parte di bande che sfruttano la prostituzione. Queste bande operano in combutta con funzionari dei campi.

Secondo l’agenzia stampa Dihaber, donne fuggite dalla Siria con le loro famiglie sono state collocate nei campi di Elbeyli e Islahiye e ora vengono spinte alla prostituzione. Un guardiano di sicurezza del campo di Islahiye ha dichiarato: “Bambine tra i 16 e 17 anni in questo campo vengono spinte alla prostituzione. Non sappiamo chi siano i responsabili. Tuttavia i funzionari del campo gli permettono di entrare e uscire liberamente dal campo. Dicono cose come ‘abbiamo a fare del lavoro’ e affermano di avere bisogno di sei o sette persone. Con il pretesto del lavoro portano con sé delle donne e dopo averle fatte prostituire, riportano queste ragazze. Ogni volta la procedura è la stessa”. Continua a leggere

Lettera del Movimento delle donne del Kurdistan (KJK) alla portavoce del consiglio indigeno di governo

Alla compagna María de Jesús Patricio Martínez, rappresentante della volontà del popolo indigeno del Messico e del Congresso Nazionale Indigeno.

In primo luogo, vogliamo mandare alla nostra sorella messicana il nostro più profondo rispetto e il nostro saluto rivoluzionario dalle montagne del Kurdistan fino alle catene montuose della Sierra Madre oltreoceano.
Nonostante i fiumi, le montagne, i deserti, le valli, i canyon e i mari che ci separano, siamo fratelli e sorelle indigene, non importa in che parte del mondo stiamo. La nostra lotta, la nostra resistenza contro l’occupazione e il colonialismo, il nostro sogno per una vita libera è comune e in questo senso, come Movimento di Liberazione del Kurdistan, dichiariamo che consideriamo la lotta per l’autodeterminazione, l’auto-amministrazione e l’autodifesa dei popoli indigeni del Messico organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) come nostra e la sosteniamo basandoci sui principi della solidarietà rivoluzionaria.
I popoli indigeni sono le vene attraverso le quali i principi e i valori culturali e sociali dell’umanità vengono trasmessi dai primi momenti della socializzazione fino ai giorni nostri.
Senza dubbio nessun popolo è superiore ad un altro, ma in un momento in cui la modernità capitalista vuole distruggere ogni valore collettivo, i popoli indigeni sono la dimostrazione del tessuto sociale di tutta l’umanità. Migliaia di anni di memoria collettiva risorgono nelle nostre canzoni, nei nostri rituali, nelle nostre preghiere, nei nostri tatuaggi, nelle nostre danze e nelle nostre tradizioni. Continua a leggere

YPJ: fare di Raqqa il luogo delle donne libere

Proponiamo alcune testimonianze video delle combattenti impegnate nella campagna militare ‘Ira dell’Eufrate’ per liberare Raqqa – città-chiave del sedicente stato islamico.

Nel primo video sono presenti Klara Raqqa, comandante delle SDF, e Cihan Sheikh Ehmed, portavoce di ‘Ira dell’Eufrate’. Entrambe sono nate e cresciute a Raqqa, città da cui sono dovute scappare con l’arrivo di Daesh e delle sue atrocità e in cui ora tornano come combattenti per liberare le altre donne.

Nel secondo video la combattente delle JPG afferma: “Come donne, combatteremo fino alla fine. ISIS ha venduto qui le donne e noi qui vogliamo liberarle. Faremo di questo posto il luogo delle donne libere”.

https://youtu.be/vbsJ8nWsZec

https://youtu.be/5X6ym51BdM0

“Kurdistan, la guerre des filles” di Mylène Sauloy, il 14 maggio a Milano

Al Festival Lesbiche Fuori Salone, domenica 14 Maggio alle 17.00,  presso la Casa delle Donne di Milano in via Marsala 8, Immaginaria presenta il documentario “Kurdistan, la guerre des filles” di Mylène Sauloy (52′, Francia, 2016).

Sinossi: «Donne! Vita! Libertà!»… Da Parigi a Kobane, dal Kurdistan di Turchia al Sinjar in Irak, centinaia di donne scandiscono lo stesso slogan all’unisono. Kalachnikov in una mano, contratto sociale nell’altra, giovani combattenti dai sorrisi aperti sfilano in parata nelle loro jeeps e ridanno speranza alle donne della regione, vittime delle atrocità jihadiste, ma anche di un patriarcato misogino  e oppressivo. A Rojava – nel Kurdistan di Siria – vivono una rivoluzione di donne all’interno di una rivoluzione sociale.  Non sono nate per caso. Sono le ereditiere di un movimento creato trent’anni prima in Turchia e rafforzatosi sulle montagne del Qandil al nord dell’Iraq: «il partito delle donne libere». La sua fondatrice, Sakine Cansiz, diventata un’icona, è stata assassinata a Parigi nel gennaio 2013. Dapprima iniziato all’interno del PKK (il Partito dei lavoratori del Kurdistan), questo movimento radicale raccoglie oggi centinaia di donne provenienti da Francia, Germania, Svezia, che hanno raggiunto le compagne siriane, irachene, iraniane e turche.

Ne discutono con il pubblico la regista e Nicoletta Poidimani.

Pacifismo o passivismo?

Per ricordare le dodici combattenti delle YPJ uccise dagli infami bombardamenti turchi in Rojava lo scorso 25 aprile (qui il servizio di Radio Blackout, qui i volti delle combattenti e dei combattienti uccisi e qui alcune significative immagini), pubblichiamo la traduzione di un bell’intervento di Dilar Dirik scritto in occasione dell’8 marzo di quest’anno.

Ne approfittiamo anche per segnalare il corteo regionale che si terrà a Firenze sabato 6 maggio, a fianco della resistenza kurda e del Rojava sotto attacco [ATTENZIONE: a causa delle avverse condizioni meteo, il corteo regionale toscano è stato rimandato a sabato 13 maggio; appuntamento a Firenze alle 14.30 in piazza S. Maria Novella].

Il pacifismo – o passivismo? – femminista (Dilar Dirik)

Domani è la giornata internazionale delle donne. Di fronte all’ondata sempre crescente di femminicidi, violenza sessuale e cultura dello stupro, dobbiamo affrontare la questione dell’autodifesa delle donne.
Quando alcune donne bianche celebrano la non violenza dei cortei delle donne contro Trump, per poi posare di fronte alla macchina fotografica con i poliziotti, quando la violenza per mano di quest’ultimi colpisce nello specifico soprattutto persone di colore, quando i nazi-punchers (chi risponde con un pugno a un nazista) vengono accusati di essere uguali ai fascisti, quando le femministe in situazioni di relativa sicurezza accusano di militarismo le donne militanti del Medioriente che devono far fronte alla schiavitù sessuale dell’Isis… dobbiamo problematizzare il concetto liberale di non violenza che lascia da parte i sistemi di potere e i meccanismi di violenza strutturale che vi si intersecano.
Quando le femministe si aggrappano dogmaticamente a un pacifismo (o passivismo?) che appartiene a una classe e a una razza, e demonizzano la rabbia violenta contro il sistema, allora si tirano fuori da un dibattito più che necessario su forme di autodifesa alternative il cui obiettivo e la cui estetica sostengano delle politiche di liberazione. In un’era globale di femminicidi, violenza sessuale e cultura dello stupro, chi può permettersi di non pensare all’autodifesa delle donne?
Il femminismo ha giocato un ruolo importante nei movimenti contro la guerra e ha ottenuto importanti vittorie politiche nella costruzione della pace. La critica femminista al militarismo quale strumento patriarcale rende comprensibile il rifiuto della partecipazione delle donne agli eserciti di stato come fattore di empowerment. Ma il rifiuto inappellabile da parte delle femministe liberali nei confronti della violenza agita dalle donne, quale che sia l’obiettivo, non riesce a operare un distinguo di natura qualitativa tra il militarismo statalista, colonialista, imperialista, interventista e l’autodifesa necessaria e legittima. Continua a leggere

La vita come strumento di resistenza

Da un paio di mesi decine e decine di prigioniere e prigionieri politici kurde/i hanno risposto all’appello di 13 loro compagni/e e stanno portando avanti uno sciopero della fame ad oltranza: Secondo i dati dell’Iniziativa di solidarietà con le carceri, 219 detenuti, 38 dei quali donne, stanno partecipando allo sciopero della fame in 27 carceri, scrive UIKI. Donne e uomini che stanno usando la propria vita come strumento di resistenza contro il regime fascista dell’alleanza AKP-MHP. Le loro richieste sono:
•    mettere fine all’isolamento delle prigioniere politiche e dei prigionieri politici, in particolare a quello del Leader del popolo curdo Abdullah Ocalan;
•    cessazione dei maltrattamenti da parte dei guardiani durante le visite dei familiari;
•    misure per la cura delle prigioniere e dei prigionieri malati;
•    cessazione delle violazioni dei diritti delle detenute e dei detenuti;
•    fine dei fermi e degli arresti legati all’aver espresso opinioni e aver svolto lavoro politico;
•    fine della repressione politica e militare della popolazione. Continua a leggere

Marzo di lotta e di resistenza


Organizziamo la resistenza, è l’invito che Sebahat Tuncel dal carcere ha indirizzato alle donne kurde per l’8 marzo.

E mentre le istituzioni patriarcali considerano reato lo slogan “Donne, Vita, Libertà”, le donne yezide invitano a partecipare alla conferenza internazionale Gli attacchi genocidi contro le donne yezide e i significati della resistenza e della lotta, che si terrà l’11 e 12 marzo 2017 a Bielefeld, in Germania.
Un tema quanto mai attuale, vista l’attuale seconda ondata di attacchi genocidi contro la popolazione yezida di Shengal, di cui si può leggere in questa selezione di articoli:
(in italiano) Appello del DTK al KDP per Shengal; KCK: Proteggeremo Shengal contro questa seconda ondata di attacchi genocidi; Cosa è successo nella città di Xanesor a Shengal?

(in inglese) Êzidî mothers: Barzani sold Shengal out to Erdoğan; The situation in Shengal in 10 questions

altri articoli consigliati su Firat News:

11 febbraio, tutte e tutti a Milano al fianco del Kurdistan

Il prossimo 11 febbraio, nell’anniversario del sequestro di Ocalan avvenuto in Kenia il 15 febbraio del 1999, si terrà a Milano una manifestazione nazionale in supporto alla lotta di liberazione del Kurdistan e per la liberazione di tutti i prigionieri e le prigioniere kurdi. Si parte alle 14 da Porta Venezia. Potete leggere l’indizione su Retekurdistan.

Fra i vari aggiornamenti, ne segnaliamo uno particolarmente significativo dal sito web di UIKI, in cui si spiega come il governo turco abbia deportato i profughi yezidi nel famigerato campo AFAD (di cui avevamo già ampiamente parlato qui) mettendone di nuovo in pericolo le vite.