Sulle bugie e i silenzi di Amnesty

Schermata 2015-10-16 a 11.52.11 Schermata 2015-10-16 a 11.55.17Anche l’assemblea delle tribù arabe del Rojava, in una conferenza stampa congiunta, ha accusato Amnesty di distorcere la verità, basandosi su personaggi di fantasia.

Il portavoce dell’assemblea, Eyad El-Dexîl Mihemed, ha sottolineato che “Amnesty International ha fondato il suo rapporto su fonti che vogliono eliminare l’amore e la convivenza tra tutti gli ambienti sociali della regione per sostituirli con le ostilità”. Ha poi aggiunto che “I popoli arabi, cristiani, curdi, e yezidi nella nostra regione vivono insieme in pace e fiducia reciproca da secoli. Condividono il dolore e la gioia, e tutti hanno i loro diritti”.

L’assemblea delle tribù arabe si era prima confrontata con la popolazione della regione riguardo alle accuse formulate da Amnesty. Accuse che la popolazione stessa ha confutato.

Di fronte al moltiplicarsi delle smentite, vien da chiedersi quale sia il rapporto tra le accuse infami contro le YPG/YPJ presentate da Amnesty nel suo rapporto, e il silenzio assordante della medesima organizzazione sulle torture che la polizia turca sta infliggendo a giovani donne e uomini kurdi per ottenere false confessioni sulla strage di Suruç…

Fatti un giro in Rojava…

La pubblicazione ieri, a tre giorni dalla strage di Ankara, di un rapporto di Amnesty International su presunti “crimini di guerra” delle YPG nelle zone liberate da ISIS sta scatenendo molte reazioni nei social network kurdi.

A quel rapporto ha voluto rispondere anche un volontario britannico delle YPG, che si trovava in Rojava proprio nei mesi in cui sarebbero avvenuti tali fatti. Abbiamo tradotto da Kurdish Question la sua lettera aperta…

Una lettera aperta a Salil Shetty – segretario generale di Amnesty International

Caro Salil,

Scrivo per protestare contro la pubblicazione di una relazione della tua organizzazione intitolata ‘Non avevamo altro posto in cui andare – Spostamenti forzati e demolizioni nel nord della Siria’.

Come operatore umanitario britannico, che ha trascorso 5 mesi e mezzo con le YPG in Rojava, sono assolutamente stupefatto dal vostro rapporto di 32 pagine pubblicato nell’ottobre 2015.

Mi sento costretto a scrivere questa lettera a nome delle centinaia di volontari stranieri che hanno aderito alle YPG e alle YPJ, i quali non stanno solo combattendo in prima linea, ma stanno lavorando sodo insieme ai kurdi negli ospedali e nei campi profughi.

Quando ero in quel Paese, ho avuto pieno accesso a tutta la regione, compresa la linea del fronte. Di conseguenza, io sarei stato presente a molti dei fatti e nei luoghi citati nel rapporto. Non ho mai visto alcuna evidenza di danni intenzionali o di sgomberi forzati.

Volevo solo affrontare rapidamente i due punti principali del vostro rapporto: Continue reading

Sulla pelle delle donne

Da ieri circola su alcuni giornali la notizia di una lettera aperta, sottoscritta da una ventina di yezidi, tra cui un capo religioso ed un parlamentare, che fa accapponare la pelle.
In sostanza, viene messo in dubbio che un facoltoso uomo d’affari, Steve Maman, residente in Canada e definito lo “Schindler ebreo”, abbia veramente utilizzato le centinaia di migliaia di dollari raccolti – 580.000 dall’inizio di luglio – per “ricomperare” donne e bambini yezidi, e che non si tratti, invece, di un modo truffaldino per finanziare i jihadisti di ISIS.
Lo stesso Maman avrebbe “insinuato o rivelato (…) di avere trattative dirette con ISIS”, è scritto nella lettera, e delle donne che dichiara di aver liberato non c’è traccia. Invece l’organizzazione di Steve Maman (CYCI – Liberazione dei bambini cristiani e yezidi in Iraq) dichiara nel proprio sito web di avere “da sola contribuito a salvare oltre 120 donne e bambini cristiani e yezidi dai territori controllati da ISIS in Iraq”.
Per altro, non tornerebbero nemmeno i conti: “Maman ha scritto che per 80.000 euro aveva comprato la libertà di 120 donne. Ma non torna con i prezzi attuali. Una donna costa tra i 10.000 e i 30.000 dollari. I bambini meno, forse 5.000 dollari. Anche se avesse pagato soltanto 5.000 dollari per ognuno/a di loro, il totale sarebbe comunque molto più alto”.
I firmatari spiegano che generalmente le famiglie delle donne rapite si indebitano con amici e parenti per pagare questi riscatti, in parte, poi, rimborsati dall’ufficio speciale del governo a Duhok.
La lettera invita Maman a sospendere la raccolta di donazioni attraverso GoFundMe fino a che non dimostra quello che la sua organizzazione ha fatto davvero, e a fornire entro breve tempo “le prove riguardanti le loro presunte attività di soccorso, tra cui le informazioni di contatto delle famiglie o degli individui/e che sostiene di aver salvato, alle autorità competenti: i membri del Supremo consiglio religioso degli yezidi e i rappresentanti chiave yezidi nel parlamento kurdo o iracheno”.
Khidher Domle, giornalista kurdo e attivista nonché uno dei firmatari della lettera, ha detto: “Ci troviamo in questa immane tragedia, e ora qualcuno si mostra come eroe sulle spalle del nostro popolo”. Continue reading

Al fianco di Figen Şahin, contro gli stupratori in divisa

Una donna di 25 anni, Figen Şahin, ieri ha testimoniato che la polizia turca l’ha torturata sessualmente mentre era in stato di arresto e ha minacciato di condividere le foto dei suoi genitali sulla sua pagina Facebook dopo averla costretta a spogliarsi ed averla massacrata.
“Otto o dieci poliziotti mi ha portata fuori dalla macchina in una zona senza telecamere – ha detto Figen – Quattro poliziotti mi hanno aperto le gambe e hanno cominciato a darmi calci nei genitali e alle gambe. Nel frattempo, due poliziotti continuavano a tirarmi calci al seno; questo mi ha causato contrazioni al cuore e sono stata ricoverata in ospedale”.

La polizia ha dichiarato di averla arrestata ad Adana perché si era coperta il viso con una kefiah. In realtà Figen ha spiegato di usare la sciarpa che aveva intorno al collo per proteggersi il viso durante il lavoro nei campi.

Avevamo anche già parlato di Musa Çitil, il comandante militare turco noto per il suo ricorrente uso della tortura sessuale contro le donne kurde, promosso e inviato a Diyarbakır – promozione alle quale l’assemblea delle donne di Diyarbakır ha reagito con un’iniziativa pubblica in cui sono stati letti tutti i casi di violenza che lo riguardavano. Continue reading

Dal genocidio alla resistenza: le donne yezide contrattaccano

A fronte di tutte le menzogne che passano sui media, ancora una volta Dilar Dirik ritrae una realtà che è importante conoscere. Per questo pubblichiamo volentieri questo suo intervento, tradotto a cura nostra da TeleSur.

Dal genocidio alla resistenza: le donne yezide contrattaccano
di Dilar Dirik

Dopo aver subito un genocidio traumatico, le donne yezide sui monti di Sinjar mobilitano la propria autonoma resistenza armata e politica con la filosofia del PKK.

SHENGAL – Il vecchio detto curdo “Non abbiamo amici, se non le montagne” è diventato più importante che mai quando, il 3 agosto 2014, il gruppo omicida Stato Islamico ha lanciato quello che viene indicato come il 73mo massacro di yezidi, attaccando la città di Sinjar (in curdo: Shengal), massacrando migliaia di persone, stuprando e rapendo le donne per venderle come schiave sessuali. Diecimila yezidi e yezide sono fuggiti sui monti di Shengal in una marcia della morte durante la quale sono morti di fame, di sete e di stanchezza – in particolare i bambini. Quest’anno lo stesso giorno, le/gli yezidi hanno marciato di nuovo sui monti di Shengal. Ma questa volta con una marcia di protesta per giurare che nulla sarà mai più di nuovo lo stesso.

L’anno scorso, i peshmerga kurdi iracheni del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) hanno promesso al popolo che avrebbero garantito la sicurezza di Shengal, ma sono scappati senza preavviso quando il gruppo Stato Islamico ha attaccato, senza nemmeno lasciare armi alla gente per difendersi. Invece, sono state la guerriglia del PKK, così come le Unità di difesa del popolo, o YPG, e le loro brigate femminili, le YPJ, venute dal Rojava che, nonostante avessero i kalashnikov e soltanto una manciata di combattenti, hanno aperto un corridoio per il Rojava, salvando 10mila persone.

Per un anno intero, le donne yezide sono state descritte dai media come inermi vittime di stupro. Innumerevoli interviste chiedevano loro ripetutamente quanto spesso fossero state stuprate e vendute, facendo rivivere spietatamente il trauma per amore delle notizie sensazionalistiche. Le yezide sono state presentate come l’incarnazione della donna che piange, che si arrende passivamente, la vittima finale del gruppo Stato Islamico, la bandiera bianca femminile per il patriarcato. Inoltre, le più selvagge rappresentazioni orientalistiche hanno grottescamente ridotto una delle più antiche religioni al mondo sopravvissute ad un nuovo campo esotico ancora da esplorare. Continue reading

AKP-ISIS: uniti nei massacri e nelle devastazioni

CMw9tgFWEAAY3cCMentre polizia ed esercito turco radono al suolo le città kurde all’urlo di “Allah u Akbar” e incendiano i villaggi come negli anni ’90, a Qamishlo, in Rojava, un attentato suicida di ISIS – che a Mosul ha lapidato cinque donne che non si sono conformate agli ordini, rifiutando di indossare il velo – ha ucciso 10 persone e ne ha ferite più di 50.

Se ancora ci fossero dubbi sui legami tra gli stupratori e tagliagole di ISIS e il partito di Erdogan
… e il silenzio complice dei media internazionali.

La popolazione kurda, però, non si lascia intimorire e si moltiplicano le zone che dichiarano l’autogoverno, fino al quartiere Gazi di Istanbul.

“Le più antiche ed esperte avversarie dello Stato islamico”

A quasi un anno dalla sua pubblicazione, ci sembra importante proporre la traduzione di questo intervento di Dilar Dirik, che rende ancora più evidenti le complicità, le omertà e gli interessi che hanno determinato l’attuale situazione in Kurdistan.

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Gli ‘altri’ kurdi che combattono lo Stato islamico
Perché i kurdi, che hanno mostrato la resistenza più efficace contro lo Stato islamico, sono etichettati come terroristi?

di Dilar Dirk, 2 settembre 2014

Rojbas! “Buon giorno” al mondo, che per aprire gli occhi di fronte alla realtà massacratrice chiamata “gruppo dello Stato Islamico” ha aspettato che i kurdi yezidi a Sinjar (Shengal) si trovassero di fronte al 73mo massacro nella loro storia!

Lo Stato islamico sta massacrando in Siria da quasi due anni, senza sdegno né azioni globali. Infatti è stato anche sostenuto da diversi governi nel tentativo entusiasta di rovesciare Bashar al-Assad a qualunque costo.

Dopo un feroce attacco su Sinjar in agosto, nel corso del quale migliaia di kurdi yezidi sono stati uccisi, centinaia di donne sono state violentate, rapite e vendute come schiave sessuali, e decine di migliaia sono rimasti bloccati sui monti di Sinjar, senza cibo né acqua, i governi occidentali ora forniscono le armi alle forze peshmerga del Governo regionale del Kurdistan (KRG) nel sud del Kurdistan (Nord Iraq).

Questo non sorprende, dato che il KRG – che è controllato dal governo del Partito democratico del Kurdistan (KDP) – è un partner importante dell’Occidente e della Turchia. Continue reading

19 luglio 2012 – 19 luglio 2015

Oggi è il terzo anniversario della rivoluzione in Rojava e ci piace ricordarlo pubblicando la testimonianza di una giovane donna araba entrata nelle YPJ.

Una vita cambiata dalle YPJ

Ebir Kemal Khelef pensava che la sua vita fosse finita quando ha saputo che a 15 annisarebbe stata data in sposa. Poi ha trovato le YPJ. “La vita che ho perso nella mia infanzia, ho cominciato a ritrovarla nelle fila delle YPJ”, ha detto Ebir, una combattente delle YPJ. Ebir, che viene dalla tribù araba Begara di Heseke, ha perso entrambi i genitori da bambina. Quando ha compiuto 15 anni, lo zio aveva programmato di farla sposare.
Erano gli anni in cui nelle strade di Heseke si cominciavano a vedere le donne combattenti armate di fucili. Ebir aveva saputo che erano membri delle Unità di difesa della regione autonoma del Rojava, in Siria, che avevano una presenza ad Heseke. All’epoca Ebir ha pensato: “Se avessi un fucile, nessuno potrebbe costringermi a sposarmi”.
770x500cc-hsk-Ebir-Kemal-Xelef-1Ebir ha cominciato a chiedere alle amiche kurde del suo quartiere informazioni sulle combattenti kurde che vedeva per strada ed è venuta a sapere delle YPJ. Ciò le ha fatto sorgere delle domande.
Per tre anni, Ebir ha resistito agli sforzi dello zio per costringerla a sposarsi. Quando ha compiuto 18 anni, è scappata di casa e si è diretta verso un checkpoint delle YPJ. Lì, le combattenti le hanno chiesto perché fosse fuggita da casa. “Ho detto loro quello che avevo vissuto. Mi hanno consigliato la formazione e ho accettato”, ha detto Ebir. Continue reading

“Noi non combattiamo contro ISIS soltanto col corpo…”

nessrin+abdallaÈ da alcuni giorni in Italia Nessrin Abdalla, 36 anni, comandante delle YPJ. Alcune di noi hanno avuto modo di partecipare ad uno degli incontri che si sono svolti con lei, proprio nei giorni del nuovo e sanguinoso tentativo di offensiva di ISIS a Kobane.

Oltre all’audio del suo intervento, abbiamo pensato di riportare alcuni stralci dalle interviste che sono state registrate. Questi stralci sono selezionati e “montati” in modo da costituire un approfondimento delle tematiche che il nostro blog ha più volte messo in risalto, in particolare per quanto riguarda la condizione delle donne in Rojava e la loro partecipazione al processo rivoluzionario in atto.

Quanto sia incisiva la partecipazione delle donne lo dimostra non solo il fatto che le donne siano presenti e attive su tutti i piani della lotta, dell’organizzazione sociale e della gestione del quotidiano, ma anche il modo in cui si è trasformato il linguaggio. È, infatti, assai consueto trovare nei comunicati ufficiali l’espressione “sorellanza tra i popoli” [sisterhood, nella traduzione inglese dal kurdo] e questo ci sembra un particolare non da poco, dopo secoli di fratellanze e fratriarcati che dell’oppressione delle donne ne hanno fatta la propria cultura e bandiera…

Ascolta l’intervento:

 

Ed ecco gli stralci dalle interviste…. Continue reading

Le YPJ invitano le donne profughe a tornare nelle aree liberate, offrendo loro supporto umanitario

La comandante delle YPJ invita le donne di Girê Spî e Raqqa a tornare nelle zone liberate

15 giugno 2015

La comandante generale delle YPJ, Newroz Ehmed, ha invitato le donne di Girê Spî e Raqqa a tornare nelle zone liberate, e ha informato che le combattenti delle YPJ sulla linea del fronte hanno preparato delle camere speciali per garantire la sicurezza delle donne e soddisfare i loro bisogni urgenti. Ehmed detto che le YPJ hanno la responsabilità umana e il dovere di liberare le terre dalle bande ISIS.

La comandante generale delle YPJ, Newroz Ehmed, ha rilasciato una dichiarazione invitando le donne di Girê Spî e Raqqa a tornare nelle zone liberate e ad abbattere la crudeltà delle bande di ISIS attraverso la lotta comune e la solidarietà fra le donne curde e quelle arabe, così come fra le donne di diverse provenienze etniche.

Newroz Ehmed ha richiamato l’attenzione sul fatto che l’occupazione di ISIS ha imposto alle donne la schiavitù ed ha preso di mira soprattutto le donne per rafforzare ed estendere il proprio sporco sistema. Ehmed ha aggiunto che solo attraverso l’oppressione delle donne le bande di ISIS potrebbero imporre la schiavitù in tutta la società. Continue reading