L’autogestione nei campi profughi kurdi

Innanzitutto esprimiamo piena solidarietà alle compagne dell’agenzia stampa JINHA, al cui sito web lo stato turco ha deciso di bloccare l’accesso. Un divieto a cui le donne di JINHA hanno risposto: “Quando abbiamo cominciato, quattro anni fa, come prima agenzia di stampa delle donne in Turchia, abbiamo detto ‘scriviamo senza preoccuparci di quello che gli uomini potrebbero dire’. Scriviamo anche senza preoccuparci di ciò che potrebbe dire lo Stato maschilista e continueremo a scrivere la verità”.

Qui, di seguito, la nostra traduzione dell’ultimo articolo di Dilar Dirik, pubblicato su Telesur.

Dimentica le Nazioni Unite! Incontra i rifugiati che in Kurdistan si autodeterminano
di Dilar Dirik (7 ottobre 2015)

Senza entrare nei disumanizzanti e brutali dibattiti che dominano la cosiddetta crisi dei rifugiati, andiamo a vedere una storia diversa di rifugiati. Una storia di autonomia, agentività, autodeterminazione e potenziamneto.
Tre campi profughi in Kurdistan illustrano questa alternativa radicale allo status quo.

Il nostro viaggio comincia a Makhmour, a 40 minuti di strada verso sud dalla capitale kurdo-irachena, Erbil.
Ancora oggi, gli abitanti di questo campo profughi definiscono la propria esistenza “un miracolo”. È stato creato negli anni ’90, dopo che l’esercito turco aveva distrutto i villaggi kurdi, costringendo 100.000 persone a sfuggire ai massacri e all’assimilazione forzata.
Lontano dal sistema statunitense di tifoseria di Erbil, decorato coi cartelloni delle società turche, entrando nel campo di Makhmour, protetto dai guerriglieri e dalle guerrigliere del PKK, si sente un’atmosfera completamente diversa: una vita comunitaria. Continue reading

Contro il colonialismo, contro il suprematismo

Lo stato turco continua la sua opera di distruzione e, dopo i cimiteri dei martiri, ha cominciato a radere al suolo anche le scuole dove si insegna in lingua kurda.

Ma la popolazione kurda non si fa intimorire e, malgrado i massacri e le devastazioni, a Cizre si sono costituite 140 comuni locali per portare avanti l’autogoverno e rispondere alle necessità della popolazione “senza bisogno di alcuna istituzione dello stato”, a partire da istruzione e sanità.

Il Comitato per l’istruzione del KCK (Unione delle comunità del Kurdistan) ha chiamato l’intera popolazione a boicottare le scuole turche, per opporsi al colonialismo e al genocidio culturale – quella “sintesi di politiche e pratiche di assimilazione, genocidio, saccheggio, negazione e annientamento che è iniziata con l’Impero Ottomano e prosegue, oggi, con la repubblica turca”.

E intanto la Federazione democratica europea alevita, in un comunicato, ha invitato tutti e tutte a “stare insieme con una sola voce, un solo cuore e spalla a spalla contro questa persecuzione” e a continuare la resistenza “contro la crudeltà dell’AKP e del Palazzo con lo spirito di Hüseyin, Kobanê, Shengal, Varto e Cizre”.

Sul suprematismo di quelli che noi chiamiamo i ‘turisti delle rivoluzioni’ ha preso parola Dilar Dirik, con un breve ma efficace intervento sulla sua pagina facebook, che molto volentieri abbiamo tradotto e pubblichiamo. Continue reading

“Le più antiche ed esperte avversarie dello Stato islamico”

A quasi un anno dalla sua pubblicazione, ci sembra importante proporre la traduzione di questo intervento di Dilar Dirik, che rende ancora più evidenti le complicità, le omertà e gli interessi che hanno determinato l’attuale situazione in Kurdistan.

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Gli ‘altri’ kurdi che combattono lo Stato islamico
Perché i kurdi, che hanno mostrato la resistenza più efficace contro lo Stato islamico, sono etichettati come terroristi?

di Dilar Dirk, 2 settembre 2014

Rojbas! “Buon giorno” al mondo, che per aprire gli occhi di fronte alla realtà massacratrice chiamata “gruppo dello Stato Islamico” ha aspettato che i kurdi yezidi a Sinjar (Shengal) si trovassero di fronte al 73mo massacro nella loro storia!

Lo Stato islamico sta massacrando in Siria da quasi due anni, senza sdegno né azioni globali. Infatti è stato anche sostenuto da diversi governi nel tentativo entusiasta di rovesciare Bashar al-Assad a qualunque costo.

Dopo un feroce attacco su Sinjar in agosto, nel corso del quale migliaia di kurdi yezidi sono stati uccisi, centinaia di donne sono state violentate, rapite e vendute come schiave sessuali, e decine di migliaia sono rimasti bloccati sui monti di Sinjar, senza cibo né acqua, i governi occidentali ora forniscono le armi alle forze peshmerga del Governo regionale del Kurdistan (KRG) nel sud del Kurdistan (Nord Iraq).

Questo non sorprende, dato che il KRG – che è controllato dal governo del Partito democratico del Kurdistan (KDP) – è un partner importante dell’Occidente e della Turchia. Continue reading

La rivoluzione delle donne in Rojava. Sconfiggere il fascismo costruendo una società alternativa

Dal sito di Nicoletta Poidimani riprendiamo la traduzione di un intervento di Dilar Dirik che ci risuona profondamente.

La rivoluzione delle donne in Rojava. Sconfiggere il fascismo costruendo una società alternativa
di Dilar Dirik

Questo brano è un capitolo del libro di Strangers in a Tangled Wilderness (a cura di), A Small Key Can Open A Large Door: The Rojava Revolution, 2015, Combustion Books.

La resistenza a Kobanê contro lo Stato islamico ha aperto gli occhi al mondo sulla causa delle donne kurde. Com’è tipico della miopia dei media, anziché considerare le implicazioni radicali delle donne che prendono le armi in una società patriarcale – soprattutto contro un gruppo che sistematicamente stupra e vende le donne come schiave sessuali – anche le riviste di moda oggi si appropriano della lotta delle donne kurde per i loro scopi sensazionalistici. I reporters spesso scelgono le combattenti più “attraenti” per le interviste e le esotizzano come amazzoni “cazzute”. La verità è che la mia generazione è cresciuta considerando le donne combattenti come un elemento naturale della nostra identità; non importa quanto sia affascinante – da un punto di vista orientalista – scoprire una rivoluzione delle donne tra i kurdi.
Le Unità di difesa popolare (YPG) e le Unità di difesa delle donne (YPJ) del Rojava (regioni nel nord della Siria a popolazione prevalentemente kurda) stanno combattendo il cosiddetto Stato islamico da due anni e attualmente conducono una resistenza epica nella città di Kobanê. Si stima che il 35% – circa 15.000 combattenti – sono donne. Fondate nel 2013 come esercito autonomo delle donne, le YPJ portano avanti operazioni e corsi di formazione indipendenti. Ci sono diverse centinaia di battaglioni di donne in tutto il Rojava.

Ma quali sono le motivazioni politiche di queste donne? Perché Kobanê non è caduta? La risposta è che una rivoluzione sociale radicale accompagna i loro fucili di autodifesa… Continue reading

L’autodifesa radicale delle donne kurde: armata e politica

ypj3_dilardirik.jpg_1703677632La resistenza delle donne curde opera senza gerarchia né dominazione ed è parte della più ampia trasformazione e liberazione della società.
Le potenti istituzioni del mondo operano attraverso la struttura-Stato, che ha il monopolio finale sul processo decisionale, sull’economia, e sull’uso della forza. Al tempo stesso ci viene detto che l’odierna violenza diffusa è la ragione per cui lo Stato ha bisogno di proteggerci contro noi stessi/e. Le comunità che decidono di difendersi contro l’ingiustizia sono criminalizzate. Basta dare uno sguardo alla generica definizione di terrorismo: l’uso della forza da parte di attori non statali per scopi politici. Non importa il terrorismo di Stato. Di conseguenza, le donne, la società e la natura vengono lasciate indifese, non solo fisicamente, ma socialmente, economicamente e politicamente.
Nel frattempo, gli onnipresenti apparati di sicurezza dello Stato – che apertamente portano avanti economie di commercio di armi e traggono benefici dal contrapporre le comunità l’una contro l’altra per le loro sporche guerre – danno l’illusione di proteggere “noi” contro un misterioso “loro”.

Nel corso dell’ultimo anno, il mondo è stato testimone della storica resistenza della città curda chiamata Kobane. Che le donne da una comunità dimenticata siano diventate le più feroci nemiche del gruppo Stato Islamico – la cui ideologia si basa sulla distruzione di tutte le culture, le comunità, le lingue e i colori del Medio Oriente – ha sconvolto i patti convenzionali sull’uso della forza e sulla guerra. Kobane non passerà alla storia della resistenza umana perché gli uomini hanno protetto le donne o uno Stato ha protetto i suoi “soggetti”, ma perché donne e uomini sorridenti hanno trasformato le loro idee e i loro corpi in un’ideologica prima linea contro la quale si sono sgretolati il gruppo Stato Islamico e la sua stupratrice visione del mondo.
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Inaugurata a Nusaybin l’accademia per donne intitolata a Sakine Cansiz

sakine cans__z3Apprendiamo con grande piacere da Firat News la notizia dell’inaugurazione dell’accademia per donne Sakine Cansiz.

A chi volesse capire l’essenziale differenza tra l’impostazione patriarcale delle università nostrane e le accademie kurde femministe, consigliamo questa riflessione.

Report dal convegno di Amburgo “Sfidare la modernità capitalista”

Si è svolto ad Amburgo dal 3 al 5 aprile un convegno organizzato dalla comunità curda dal titolo Sfidare la modernità capitalista. Ce lo raccontanto due compagne del collettivo femminista F9 di Roma dai microfoni di Radio Onda Rossa.

Per ascoltare l’audio

Sfidare la modernità capitalista

Dal 3 al 5 aprile scorsi si è svolta ad Amburgo la seconda edizione della conferenza Sfidare la modernità capitalista, che si è focalizzata in modo particolare sul Confederalismo democratico e sulle sue declinazioni.

Fra gli interventi, tutti pubblicati da Uiki, abbiamo selezionato quelli che ci sembrano più interessanti dal punto di vista del dibattito e delle pratiche femministe.

1. Il femminismo e il movimento di liberazione Kurdo (Dilar Dirik)
2. Relazioni di potere – Stato e famiglia (Nazan Üstündağ)
3. Strade di pensiero colonizzatrici – Suggerimenti per una epistemologia femminista (Muriel Gonzales Athenas)
4. L’ecologia sociale e il mondo non-occidentale (Federico Venturini)
5. Nuovi concetti: Confederalismo democratico, autonomia democratica (Havin Guneser)

“Non è troppo tardi per fare i passi giusti…”

ivanahofman-599x275L’8 marzo scorso, la ventenne Ivana Hoffmann cadeva combattendo contro le bande dell’ISIS a Til Temir.

In una bellissima lettera aveva scritto ai suoi compagni che voleva esser parte della rivoluzione in Rojava e difenderla a costo della sua vita.

Come lei, altre donne e altri uomini si sono unite/i in questi mesi alle Unità di difesa curde (YPJ/YPG).

Per ricordarla, abbiamo tradotto l’intervento di un volontario internazionalista delle YPG sulla spinta rivoluzionaria che sta facendo convergere in Rojava donne e uomini provenienti da tutto il mondo per partecipare alla resistenza.

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Tevdem : Il progetto di una Siria Democratica

Da Uiki

La Siria è entrata in uno stato di caos, in cui la violenza e la contro violenza, sostenuta da centri di potere che beneficiano da essa, prevalgono. Gli scenari vanno oltre la possibilità dei popoli di comprendere, lasciandoli soli davanti all’impresa. Se le tendenze attuali dovessero continuare, la Siria si troverebbe a fronteggiare la frammentazione e la dissoluzione. L’”Opposizione siriana” è bloccata in un labirinto dal quale non riesce a venire a capo e da cui non può districarsi. Molti di loro sono finiti per allearsi con Daesh e con i gruppi jihadisti salafiti, partecipando a massacri collettivi, senza alcun problema morale o di coscienza.

La crisi è più grande, profonda e pericolosa di un mero regolamento di conti con il regime di Assad, i suoi controllori e le sue leggi. Questo è il risultato dell’evoluzione della società stessa nello stato, in una così intensa concentrazione di potere statale da divenire una condizione patologica. Lo stato non concede nulla alla realtà naturale, plurale e partecipativa della società umana; esso si limita ad una visione di corto respiro che amplifica e persino guarda all’unilateralismo come a una divinità. Negazione, esclusione, dominazione, schiavitù e ingiustizia erano e sono create dagli stati, dalle dittature e dai sistemi fascisti o semi-fascisti; il più recente di questi sistemi di sicurezza che soffocano la vita, non permettendo alcuna possibilità di apertura e di sviluppo.

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