Democrazia senza stato: come il movimento delle donne curde ha liberato la democrazia dallo stato

Prima di cominciare, vorrei dedicare questo discorso a tutte le donne rivoluzionarie che lottano in tutto il mondo, specialmente a coloro che stanno combattendo contro quella disgustosa mentalità che si definisce Stato Islamico. Come sapete le donne curde si trovano al momento a combattere contro l’IS in prima linea. Inoltre vorrei dedicare questo discorso a tre donne curde rivoluzionarie che furono brutalmente assassinate nel cuore di Parigi l’anno scorso. Noi stiamo aspettando giustizia per Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Solemez da un anno, otto mesi e dodici giorni.

Azadî, libertà. Un concetto che ha catturato l’immaginario collettivo del popolo curdo per lungo tempo. L’ideale, apparentemente irraggiungibile, di un Kurdistan libero assume però molteplici forme, a seconda di dove ci si posizioni all’interno dell’ampio spettro della politica curda. La crescente indipendenza dallo stato iracheno del Governo regionale del Kurdistan (KRG) nel Kurdistan meridionale (Bashur), così come i grandi risultati ottenuti dal popolo curdo nel Kurdistan occidentale (Rojava), nonostante la guerra civile siriana nel corso dell’ultimo anno, stanno facendo rinascere il sogno di una vita libera per i curdi in Kurdistan.

Ma cosa significa libertà? Libertà per chi? La questione curda è spesso concepita come una questione relativa alle relazioni internazionali, agli stati, al nazionalismo e all’integrità territoriale. Tuttavia, la libertà è una questione che trascende l’etnicità come anche i confini artificiali dello stato nazione. Per essere in grado di parlare di un Kurdistan che meriti realmente l’attributo di “libero”, tutti i membri della società devono avere pari accesso a questa “libertà” e non solo in senso giuridico ed astratto. Non è l’ufficialità di un entità chiamata Kurdistan – abbia essa la fisionomia di uno stato indipendente, uno stato federale, un governo regionale o di qualsiasi altra forma di autodeterminazione – a definire il benessere della popolazione curda. Piuttosto è la situazione delle donne ad essere un buon indicatore del grado di democrazia e libertà di una data società. Continue reading

Partire dalla “nazione democratica”: uno sguardo non eurocentrico

Succede che a volte si generino malintesi a partire dall’uso di
parole e concetti che vengono assunti secondo il crinale culturale
prevalente in una data società: è importante fare chiarezza
su alcuni di essi, per non interpretarli in maniera scorretta
e/o incompleta. Il movimento curdo ha diversi modi di interpretare
determinati concetti così come vengono usati nel
discorso pubblico “occidentale”. Per questo è necessario chiarire
come vengono utilizzati, e il perché sia necessario sottrarli
al loro significato egemonico.

Il potere dei concetti
I concetti non dovrebbero essere considerati come semplici
termini d’uso comune. Ricoprono un’importanza fondamentale
nell’esistenza dell’uomo, poiché danno forma alla consapevolezza
dei valori e ne guidano il comportamento.
L’approccio semplicistico ai concetti, proprio in questo senso,
non è da considerarsi corretto. Continue reading

La rappresentazione delle combattenti curde nei media

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La rappresentazione delle combattenti curde nei media

In seguito agli omicidi di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez, il 9 gennaio 2013 a Parigi, i media mainstream si sono improvvisamente concentrati su una questione a lungo trascurata quanto affascinante: il ruolo rilevante delle donne nel movimento di liberazione curdo.

Nel corso degli ultimi due anni, i curdi hanno preso il controllo sul Kurdistan occidentale (Rojava) e hanno gradualmente istituito strutture di autogoverno nel bel mezzo della guerra civile siriana. Fin dall’inizio, le donne sono state parti attive nella Rivoluzione del Rojava attraverso il loro impegno civile e politico, ma ciò che ha più colpito i media mainstream occidentali è stata l’identità delle donne che, come uguali militanti, combattono in guerra. Queste donne, che combattono contro il regime di Assad e contro i gruppi jihadisti, sottolineano ripetutamente che la loro è una lotta per la libertà su più fronti, come curde e come donne.

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Donne curde e rivoluzione: oltre l’autodifesa

da Retekurdistan

Donne curde e rivoluzione: oltre l’autodifesa

22 febbraio 2015

Tanto si è detto e scritto in questi ultimi quattro mesi sulle donne curde, in virtù di quello che accadeva a Kobane, in Rojava (Kurdistan siriano). Si è dato spazio soprattutto alle immagini delle donne curde, donne che solo in pochi conoscevano, per evidenziare la loro giovane età, la loro bellezza e il fatto che avessero imbracciato un’arma. Ma questo non è che l’aspetto più superficiale di quanto sta accadendo in quella parte di Medio Oriente. Sì, perchè le donne curde lì stanno facendo una rivoluzione, ma in tutti gli ambiti della società. E l’aspetto militare non è che uno fra questi, e non sarebbe nemmeno il più importante se non fosse per il particolare momento, che vede la necessità dell’autodifesa dagli attacchi che il popolo curdo subisce con rinnovato vigore da ISIS come prima da altri gruppi, per esempio Al Nusra, affiliato a Al Qaeda, ma anche da parte del regime di Assad.

Dietro i volti delle nostre donne, dunque, c’è di più. Il loro coraggio e la loro determinazione hanno aperto un varco che deve lasciare spazio a un’analisi più profonda del processo cominciato diversi anni fa con la formazione di un partito delle donne e delle unità femminili di difesa del popolo in seno al movimento curdo, soprattutto in Nord Kurdistan (Turchia).

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Voci di donne dal Rojava

Segnaliamo dal sito Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia UIKI

E’ il 3 agosto del 2014 quando i curdi Ezidi abitanti della zona di Şengal nel Kurdistan iracheno vengono accerchiati dall’ISIS. I Peshmerga di Barzani scappano, lasciando la popolazione in balia dei saccheggi e degli omicidi. Le più colpite saranno le donne, a migliaia rapite e vendute dall’ISIS. Dopo pochi giorni arrivano in soccorso degli Ezidi gli YPG e le YPJ le unità di difesa del popolo curdo e le unità di difesa delle donne. Dalle retrovie riescono ad aprire un passaggio e per sei giorni riescono a far scappare migliaia di Ezidi chiusi nella morsa dell’ISIS. Camminano per sei giorni e arrivano nella regione liberata del Rojava. Qui, nel cantone di Cizre costruiscono il campo profughi Newroz. Le interviste sono state realizzate durante un viaggio fatto pel 25 novembre 2014, giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, da 7 donne internazionali.


“JIN, JÎYAN, AZADΔ: CHE LE DONNE VIVANO IN LIBERTÀ!

Il movimento delle donne kurde assicura l’organizzazione delle donne sulla base della loro propria ideologia, della loro propria politica, della loro propria autodeterminazione.

L’assunzione di tale coscienza, di tale qualità, di tale potere da parte di tutte le donne del mondo è di per se stessa una rivoluzione.

Il pensiero e la pratica delle donne curde nella rivoluzione del Rojava

Da settembre 2014 le Unità di difesa popolare (YPG) e le Unità di difesa delle donne (YPJ) hanno condotto una resistenza epica contro l’ultima ondata di attacchi sferrati dallo “Stato Islamico” nella zona del Kurdistan situata nel nord della Siria, il Rojava, e contro l’assedio al cantone centrale di Kobane. Dopo 135 giorni di assedio, il 31 gennaio 2015 la gente di Kobane ha liberato la città dallo “Stato Islamico”[1].

La rivoluzione del Rojava è stata una lotta di popolo sin dall’inizio. A differenza di altre rivolte non è stata cooptata da chicchessia ed è andata avanti affidandosi alle proprie forze. Infatti nel 2011, sin dall’insurrezione contro il regime di Bashar Assad, i curdi siriani non si sono schierati né con il governo di Assad né con alcuna delle forze dell’opposizione, islamista o laica, ma hanno praticato una “terza via”, organizzandosi non solo attraverso le proprie unità di autodifesa del popolo per la difesa militare del territorio (YPG e YPJ), ma anche con vere e proprie strutture di autogoverno[2].

Il processo di trasformazione sociale e politica che è in atto nel Rojava non ha l’obiettivo di costruire un nuovo stato, ma di creare un sistema alternativo al paradigma globale capitalista e maschilista dello stato-nazione, indivduando i fondamenti teorici e filosofici cui si ispira nella prospettiva del confederalismo democratico, elaborata dalla fine degni anni ‘90 ad oggi da Abdullah Ocalan, uno dei fondatori del Pkk (Partito dei lavoratori curdi). Il confederalismo democratico è basato su parità di genere, ecologia e democrazia dal basso ed è messo in pratica attraverso i consigli popolari[3].

Il protagonismo delle combattenti curde si è indiscutibilmente imposto all’attenzione mediatica dopo le coraggiose imprese riportate dalle YPJ nella resistenza a Kobane. Tuttavia le immagini riportate dai media occidentali sono esclusivamente quelle di belle e giovani donne in armi, con una rappresentazione volta ad alimentare l’immaginario esotico ed erotico della donna orientale ribelle ma che tralascia di affrontare la radicalità delle questioni universali che la lotta delle donne curde pone e omette completamente la narrazione del percorso rivoluzionario che hanno intrapreso. E’ questo percorso che vogliamo raccontare, individuandone i nessi con la nostra pratica femminista e facendo tesoro della loro esperienza. Continue reading