Per approfondire la tematica della liberazione delle donne (ma non solo) nel movimento kurdo, pubblichiamo questa intervista che abbiamo ripreso da Retekurdistan.
Resistenza e Utopie Vissute – Colloquio con hevala Sara e le sue compagne
sulle montagne di Kandil
Testo tratto dal libro Widerstand und gelebte Utopien a cura del collettivo di editrici presso CENI (Ufficio delle donne kurde per la pace), MesopotamienVerlag, Neuss, settembre 2012, Capitolo 2, pagg. 65-76
Il testo che segue è la trascrizione di colloqui avuti nel corso del 2010 tra donne impegnate a vario titolo e con varie responsabilità nel movimento kurdo e donne provenienti dall’Europa (in particolare dalla Germania), di varie esperienze politiche, interessate a capire il significato del movimento delle donne kurde. Interviste, colloqui a più voci, domande e risposte in incontri avvenuti sulle alture del monte Kandil, nella zona di difesa di Medya, zona controllata dalla guerriglia kurda nel Kurdistan del sud (Iraq), per spiegare come il movimento kurdo non sia semplicemente un movimento militare, ma un progetto alternativo di società e una pratica di liberazione quotidiana dagli influssi del sistema di sfruttamento capitalistico. Il racconto di una vita comunitaria, fra le montagne, in particolare vista attraverso le storie, le voci, gli occhi delle donne. Tra queste, nel 2010, c’era hevala Sara (nome di battaglia di Sakine Cansız).
Heval, Hevala, Hevalè, Hevalên, significa amica/o, amiche/i in kurdo. Nel movimento kurdo e nella popolazione il termine sta per collaboratrice/collaboratore attiva/o o quadri del movimento. Hevala è la forma femminile, Hevalê quella maschile.
Potete riepilogare perché c’è stato il cambiamento di nome del partito delle donne da PJKK a PJA a PAJK?
Hevala Sara: L’inizio è stata l’organizzazione come unione delle donne YAJK. A quel tempo, nell’ambito dell’ideologia della liberazione delle donne, discutevamo sulla possibilità di costruire un partito. L’ampiezza del lavoro e dell’organizzazione, sia in campo militare, politico o organizzativo, aveva raggiunto un livello per cui definirlo con un nome come “unione” sarebbe stato restrittivo e avrebbe dato l’idea di una sezione femminile del PKK. Trovavamo giusto costruire su questo una nostra identità politica in modo molto più forte. Anche se avevamo sempre critiche rispetto al modello classico di partito, alla fine anche come movimento delle donne abbiamo deciso di fondare un partito delle donne. Tenevamo alla serietà che c’era dietro a questo progetto di organizzarsi in modo autonomo, di formare propri quadri (1) e di portare avanti l’organizzazione della società.
Sul nome all’epoca sono state fatte anche delle discussioni. La lotta del PKK – ovvero dei lavoratori del Kurdistan – era quello che intendevamo come nostra eredità e nostro punto di partenza. Questo quindi si rispecchiava anche nel nome – PJKK – partito delle lavoratrici del Kurdistan. Questo nome esprimeva la comunanza tra la contraddizione di genere e quella di classe e la questione nazionale. Nella fase successiva ci sono state ulteriori discussioni ideologiche sul concetto di classe, su come lo si riempie o anche sulla prospettiva universale della lotta di liberazione delle donne. Quindi nel terzo congresso si è deciso di cambiare il nome nel contesto di questo dibattito. Anche se abbiamo rinunciato al termine lavoratrici, questo non vuol dire che non continuiamo a ritenere necessaria la lotta di classe. Ma pensiamo sia importante ampliare il concetto. Non potevamo limitare la categoria donne al concetto classico di lavoratrici. Era importante invece mettere la contraddizione di genere al centro della lotta. In questo contesto è avvenuto il cambiamento di nome in PJA – partito delle donne libere. Continua a leggere→