La furia di Erdogan contro i vivi e contro i morti

CPFt7kaWgAAUmEo A poche ora dalla comunicazione ‘confidenziale’ del ministro dell’interno, di cui avevamo già parlato, è cominciata la distruzione dei cimiteri dei martiri a Van e a Varto.

A Erdogan, che stronca decine di vite con cecchini, operazioni speciali e bombardamenti, il ricordo dei martiri fa paura. Dopo aver bloccato i cadaveri dei/delle combattenti alla frontiera, lasciandoli per giorni sotto un sole cocente, ora se la prende anche coi cimiteri dove sono seppelliti i guerriglieri e le guerrigliere.

Distruggere-distruggere-distruggere! Questo è il suo motto.

La furia distruttrice di Erdogan e dei suoi servi è molto simile – troppo simile! – a quella di ISIS. Falciare giovanissime vite e, al contempo, profanare i morti e devastare i gioielli architettonici che raccontano una storia passata e presente, con la violenta tracotanza di chi vorrebbe esser da solo a scrivere il futuro dell’umanità.

“Lo Stato turco deve capire che il popolo è il PKK – il Partito dei lavoratori del Kurdistan – che gli ufficiali turchi hanno detto che vogliono ‘sradicare’. Non ci siamo arresi prima e non ci arrenderemo ora”, rispondono le donne, con una determinazione dalle radici millenarie che nessuno potrà mai estirpare.

I fascio-nazionalisti turchi contribuiscono al genocidio sostenuti dalla polizia

Schermata 2015-09-09 a 11.54.22 Che gli attacchi dei nazionalisti e fascisti turchi contro la popolazione kurda siano ricorrenti da decenni non è una novità, né è una novità che questi attacchi spesso vedano come complici le forze dell’ordine. Ma da un paio di settimane a questa parte gli attacchi fascisti contro la popolazione kurda in Turchia e contro le sedi del partito filo-kurdo HDP hanno cominciato a crescere esponenzialmente.

A partire dalla notte tra il 23 e il 24 agosto quando, con la collaborazione della polizia, è stato assalita la sede dell’HDP ad Alanya, nel distretto di Antalya.

Il 31 agosto, la casa della famiglia di Figen Şahin, la donna arrestata e torturata dalla polizia di cui abbiamo parlato qui, è stata presa di mira da un vicino all’urlo di “Tua sorella è una terrorista” e “Dobbiamo annientarvi quanto più possibile”.

Con l’inizio di settembre si sono moltiplicati i casi di aggressioni di gruppo contro singole persone. Ibrahim Ch., “colpevole” di aver indossato abiti kurdi, è stato ferocemente picchiato e poi costretto a baciare il busto del dittatore nazionalista Ataturk, mentre il ventunenne Sedat Akbaş è stato accoltellato a morte da un gruppo che lo aveva sentito parlare in kurdo al cellulare.

Schermata 2015-09-09 a 12.05.05 Negli ultimi giorni, i fascio-nazionalisti hanno organizzato, tramite i social network, numerosi attacchi durante i quali sono stati presi di mira in molte città della Turchia la popolazione kurda, interi quartieri, negozi e abitazioni di kurdi e aleviti e diverse sedi dell’HDP. Aggressioni, fiamme e distruzione, il tutto sotto lo sguardo compiacente delle forze dell’ordine. Continua a leggere

Libertà per Shilan! Libertà per Gülay! Libertà per Fréderike! Libertà per tutte!!!

images Incomincia oggi, a Londra, il processo a Shilan Ozcelik, diciottenne in custodia cautelare dal marzo scorso, in base al Terrorism Act del 2006, con l’accusa di aver fatto un viaggio in Siria per lottare contro ISIS e aver tentato di unirsi alle Unità di protezione delle donne del PKK.

Ozcelik e la sua famiglia sostengono che fosse andata in Siria per intervenire come operatrice umanitaria e la comunità kurda in Gran Bretagna ha definito questo processo come un “esempio lampante di criminalizzazione selettiva e politica”.

In ogni caso, per noi il dato di fatto effettivo è che combattere contro ISIS in Europa è considerato un reato.

770x500cc-gulay-adile-ertunc2-700x325 I paesi europei, d’altra parte, quando si parla di PKK vanno amorevolmente a braccetto con la Turchia dove, a fine agosto, è stata arrestata Gülay Adile Ertunç, attivista e politica kurda, accusata di sostenere una organizzazione “illegale” per aver raccolto aiuti per i bambini colpiti dalla guerra. Le accuse contro di lei citano il suo ruolo nella costituzione, nel 2012, di un gruppo di solidarietà che ha portato i bambini della città di Van, colpiti dal terremoto del 2011, in viaggio verso il Mar Egeo per aiutarli a superare il trauma. Nel 2015 Gülay ha organizzato progetti di solidarietà per i bambini colpiti dalla guerra a Kobanê. Continua a leggere

NOI SIAMO KOBANE! Basta massacri di civili, basta Erdogan! 14 settembre, corteo a Milano

Ovviamente ci saremo anche noi!

Ci saremo per ricordare che, mentre il massacro voluto dallo stato turco continua a mietere morti e feriti e si intensifica l’uso dello stupro e della tortura sessuale come arma di guerra per terrorizzare le donne kurde, le donne non smettono di vigilare e armarsi e solo grazie all’autodifesa si contengono le perdite umane.

Ci saremo per far sentire tutta la nostra solidarietà a fianco delle donne kurde, yezide, assire, arabe che si sono armate e si mobilitano dal punto di vista ideologico, sociale, politico e militare.

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da Retekurdistan

NOI SIAMO KOBANE! Basta massacri di civili, basta Erdogan! Corteo cittadino a Milano

In vista della settimana dedicata alla Turchia da Expo, in un momento in cui l’offensiva repressiva del governo turco sta colpendo duramente la popolazione kurda in Turchia e nel Rojava, lanciamo un’assemblea cittadina per organizzare un corteo che denunci le politiche del governo Erdogan. Continua a leggere

Continua la guerra contro le donne di ISIS&AKP

2a32f1ddcb094945a52ca6130b757121 Trecento donne non iraqene sono state spostate a Mosul dal gruppo Takfiri di ISIS, per essere costrette alla schiavitù sessuale.
Al 16 dicembre scorso, nella sola provincia iraqena di al-Anbar, risultavano esser state assassinate almeno 150 donne, di cui alcune in stato di gravidanza, che si erano rifiutate di “sposare” i mercenari di ISIS. I loro corpi sono, poi, stati seppelliti in fosse comuni a Falluja.
Hana Nawafili, portavoce dell’Osservatorio iracheno per la Difesa delle donne maltrattate, ha detto che il 18 luglio scorso ISIS ha violentato e poi ucciso sette donne residenti a Fallujah.

Al confine turco con la Siria, dove già si contano nove morti e 114 persone torturate nell’arco di un anno, i militari turchi hanno violentato una giovane donna palestinese ed hanno torturato suo padre e suo fratello, mentre cercavano di scappare dalla guerra.

770x500cc-2015-9-3-HLB-DAXYANI-SER-GIRTINA-JINAN-RIYA-HELE-mansert Ad Aleppo, in Siria, i fondamentalisti di al Nusra hanno rapito donne e bambini.
In risposta a questo sequestro, le donne di Aleppo – che già si erano organizzate per l’autodifesahanno bloccato la strada che da Aleppo porta ad Efrîn, denunciando l’accaduto. Continua a leggere

Sulla pelle delle donne

Da ieri circola su alcuni giornali la notizia di una lettera aperta, sottoscritta da una ventina di yezidi, tra cui un capo religioso ed un parlamentare, che fa accapponare la pelle.
In sostanza, viene messo in dubbio che un facoltoso uomo d’affari, Steve Maman, residente in Canada e definito lo “Schindler ebreo”, abbia veramente utilizzato le centinaia di migliaia di dollari raccolti – 580.000 dall’inizio di luglio – per “ricomperare” donne e bambini yezidi, e che non si tratti, invece, di un modo truffaldino per finanziare i jihadisti di ISIS.
Lo stesso Maman avrebbe “insinuato o rivelato (…) di avere trattative dirette con ISIS”, è scritto nella lettera, e delle donne che dichiara di aver liberato non c’è traccia. Invece l’organizzazione di Steve Maman (CYCI – Liberazione dei bambini cristiani e yezidi in Iraq) dichiara nel proprio sito web di avere “da sola contribuito a salvare oltre 120 donne e bambini cristiani e yezidi dai territori controllati da ISIS in Iraq”.
Per altro, non tornerebbero nemmeno i conti: “Maman ha scritto che per 80.000 euro aveva comprato la libertà di 120 donne. Ma non torna con i prezzi attuali. Una donna costa tra i 10.000 e i 30.000 dollari. I bambini meno, forse 5.000 dollari. Anche se avesse pagato soltanto 5.000 dollari per ognuno/a di loro, il totale sarebbe comunque molto più alto”.
I firmatari spiegano che generalmente le famiglie delle donne rapite si indebitano con amici e parenti per pagare questi riscatti, in parte, poi, rimborsati dall’ufficio speciale del governo a Duhok.
La lettera invita Maman a sospendere la raccolta di donazioni attraverso GoFundMe fino a che non dimostra quello che la sua organizzazione ha fatto davvero, e a fornire entro breve tempo “le prove riguardanti le loro presunte attività di soccorso, tra cui le informazioni di contatto delle famiglie o degli individui/e che sostiene di aver salvato, alle autorità competenti: i membri del Supremo consiglio religioso degli yezidi e i rappresentanti chiave yezidi nel parlamento kurdo o iracheno”.
Khidher Domle, giornalista kurdo e attivista nonché uno dei firmatari della lettera, ha detto: “Ci troviamo in questa immane tragedia, e ora qualcuno si mostra come eroe sulle spalle del nostro popolo”. Continua a leggere

“Onore è non vergognarsi della resistenza”

“Il Movimento delle Donne Kurde ha insegnato alle donne che l’onore non può essere ridotto al loro corpo, l’onore è lotta, l’onore è non vergognarsi della resistenza”, così si conclude un intervento di Ruken Isik sulla violenza contro le kurde perpetrata da decenni dallo stato turco e di cui quotidianamente emergono nuovi casi (1, 2).

Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan visits Egypt Non sorprende che lo scorso novembre Erdogan, intervenendo ad un convegno su “Donne e giustizia” organizzato dall’associazione Donne e democrazia – di cui, guarda caso, la figlia è vicepresidente – in occasione della Giornata internazionale delle violenza contro le donne, si sia ben guardato dal parlare delle crescenti violenze e dei femminicidi in Turchia (che la guerra sta contribuendo ad aumentare) ed abbia invece esordito dicendo che “La nostra religione ha definito il posto delle donne nella società: la maternità. Porre donne e uomini sullo stesso piano è contro natura”. Supportato, per altro, dalla figlia Sumeyye (sì, proprio quella sulla quale si era inventato un complotto per prendere più voti…), secondo la quale “dare quote maggiori di eredità agli uomini è normale, corretto e giusto”. Continua a leggere

Dal genocidio alla resistenza: le donne yezide contrattaccano

A fronte di tutte le menzogne che passano sui media, ancora una volta Dilar Dirik ritrae una realtà che è importante conoscere. Per questo pubblichiamo volentieri questo suo intervento, tradotto a cura nostra da TeleSur.

Dal genocidio alla resistenza: le donne yezide contrattaccano
di Dilar Dirik

Dopo aver subito un genocidio traumatico, le donne yezide sui monti di Sinjar mobilitano la propria autonoma resistenza armata e politica con la filosofia del PKK.

SHENGAL – Il vecchio detto curdo “Non abbiamo amici, se non le montagne” è diventato più importante che mai quando, il 3 agosto 2014, il gruppo omicida Stato Islamico ha lanciato quello che viene indicato come il 73mo massacro di yezidi, attaccando la città di Sinjar (in curdo: Shengal), massacrando migliaia di persone, stuprando e rapendo le donne per venderle come schiave sessuali. Diecimila yezidi e yezide sono fuggiti sui monti di Shengal in una marcia della morte durante la quale sono morti di fame, di sete e di stanchezza – in particolare i bambini. Quest’anno lo stesso giorno, le/gli yezidi hanno marciato di nuovo sui monti di Shengal. Ma questa volta con una marcia di protesta per giurare che nulla sarà mai più di nuovo lo stesso.

L’anno scorso, i peshmerga kurdi iracheni del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) hanno promesso al popolo che avrebbero garantito la sicurezza di Shengal, ma sono scappati senza preavviso quando il gruppo Stato Islamico ha attaccato, senza nemmeno lasciare armi alla gente per difendersi. Invece, sono state la guerriglia del PKK, così come le Unità di difesa del popolo, o YPG, e le loro brigate femminili, le YPJ, venute dal Rojava che, nonostante avessero i kalashnikov e soltanto una manciata di combattenti, hanno aperto un corridoio per il Rojava, salvando 10mila persone.

Per un anno intero, le donne yezide sono state descritte dai media come inermi vittime di stupro. Innumerevoli interviste chiedevano loro ripetutamente quanto spesso fossero state stuprate e vendute, facendo rivivere spietatamente il trauma per amore delle notizie sensazionalistiche. Le yezide sono state presentate come l’incarnazione della donna che piange, che si arrende passivamente, la vittima finale del gruppo Stato Islamico, la bandiera bianca femminile per il patriarcato. Inoltre, le più selvagge rappresentazioni orientalistiche hanno grottescamente ridotto una delle più antiche religioni al mondo sopravvissute ad un nuovo campo esotico ancora da esplorare. Continua a leggere

La resistenza delle donne contro uno stato assetato di sangue ha infiniti volti e forme, ma non ha età

È risaputo che lo stato turco abbia una lunga tradizione di umiliazioni sessuali, violenze e stupri contro le donne, dall’epoca del genocidio della minoranza armena.

Un paio di anni fa un articolo di Meral Duzgun intitolato Turchia: una storia di violenze sessuali aveva analizzato l’uso dello stupro come strumento di tortura nei confronti delle prigioniere politiche curde.

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Quella stessa feroce tradizione la vediamo messa in atto anche oggi. Un’adolescente arrestata nella provincia di Van ha raccontato di essere stata minacciata, sotto tortura, di venire consegnata nelle mani di ISIS se non avesse parlato. Ad Elazığ sono state arrestate dieci donne che protestavano contro il divieto di manifestare contro la guerra e contro la politiche belliche sul corpo delle donne.

akpkatil-599x275 A Varto, dove è stato straziato ed umiliato il corpo della guerrigliera Ekin Van, le donne si sono ritrovate da varie città per renderle onore e ricoprire con un telo bianco il luogo in cui il suo cadavere oltraggiato è stato abbandonato; nel resto della Turchia migliaia di donne hanno manifestato contro la guerra di Erdogan, ribadendo che “la nudità di Ekin ancora una volta ha rivelato la politica patriarcale e dello stupro dello stato turco”. Continua a leggere

AKP-ISIS: uniti nei massacri e nelle devastazioni

CMw9tgFWEAAY3cCMentre polizia ed esercito turco radono al suolo le città kurde all’urlo di “Allah u Akbar” e incendiano i villaggi come negli anni ’90, a Qamishlo, in Rojava, un attentato suicida di ISIS – che a Mosul ha lapidato cinque donne che non si sono conformate agli ordini, rifiutando di indossare il velo – ha ucciso 10 persone e ne ha ferite più di 50.

Se ancora ci fossero dubbi sui legami tra gli stupratori e tagliagole di ISIS e il partito di Erdogan
… e il silenzio complice dei media internazionali.

La popolazione kurda, però, non si lascia intimorire e si moltiplicano le zone che dichiarano l’autogoverno, fino al quartiere Gazi di Istanbul.